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Da Roma all'Australia inseguendo Ferretti

Dante Ferretti nel suo studio di Cinecittà accanto al Sole del Barone di Munchausen il film di Gilliam (Foto Gmt)

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"L'ottimismo della sragionevolezza" è scritto a pennarello sul post-it attaccato alla parete, sopra il tavolone ingombro di schizzi, di cataloghi, di libri (c'è "Angeli e Demoni" ma anche "L'Italia spezzata" di Bruno Vespa). Uno spazio tutto bianco dove quadri e soprammobili sono bozzetti e modellini che hanno fatto la storia del cinema: la biblioteca de "Il nome della rosa", gli interni sontuosi di "The Aviator", la forma di cartapesta per l'"Amleto" di Zeffirelli, il mascherone dorato (era il sole) del "Münchausen" di Gilliam. È la fucina visionaria di mister doppio Oscar, leggi Dante Ferretti, lo scenografo che Hollywood ama di più, dopo che lo hanno amato Fellini, Scola, Petri, Ferreri, Pasolini. L'antro dell'invenzione, che Ferretti - maceratese, faccia paciosa ma guizzi negli occhi - volentieri condivide con la moglie Francesca Lo Schiavo - a lei altri due premi Oscar come set decorer, arredatrice - sta nella vecchia, cara Cinecittà. Studio 8-9. «Il miglior posto al mondo per lavorare, dove porterei tutti i registi del mondo», dice Ferretti mentre scarabocchia un «manichino magrittiano» e sistema il suo passato. Mettendo in ordine targhe, diplomi, pergamene con le nomination agli Oscar, i David di Donatello, gli inglesi Bafta Awards, i Nastri d'argento. E la fotografie con Fellini e Luigi De Filippo e quella mentre stringe l'Oscar con la moglie: l'ha ritoccata mettendoci la sua faccia da giovane, coi capelli crespi che ora non ci sono più. Invece a Cinecittà si fanno più fiction che film, Ferretti. Già. Io sto qui da 35 anni, ho girato sei film con Fellini, finché posso vi trascino i set stranieri, come Gangs of New York o Titus di Taymor. Ma da vent'anni i set sono pochi. Così per il cinema lavoro più all'estero che in Italia». L'ultimo film, insieme con sua moglie, lo ha fatto con Scorsese. È Shutter Island, protagonista DiCaprio. Girato a Boston, interni ed esterni per lo più ricostruiti. In Usa i set sono spesso negli studios, quello che una volta era regola a Roma. Il fatto è che oltreoceano il cinema è un'industria vera. Dicono che l'intrattenimento è la seconda voce dell'economia Usa. Dunque, un film è un prodotto, si deve fare, si innesta in un sistema articolato di maestranze, attori, sindacati. Insomma, una realtà solida, perché ha un mercato. La gente ama il cinema, impazzisce per le star, andare a vedere un film è un modo per incontrarsi. Il pubblico è pure facilitato. Per esempio, i parcheggi. Ce li hanno, grandi, tutte le sale. Anche questo aiuta il cinema. Se succedesse pure da noi, dove sono state chiuse a centinaia...». In Italia soprattutto i giovani consumano film. Sì, salvano il cinema. E si vede nel tipo di pellicole girate. Effetti speciali, storie seriali. Oddio, anche in Usa la crisi si sente. L'uscita di Shutter Island, prevista per ottobre, slitta a febbraio. La promozione in questo periodo pre-nomination agli Oscar costa troppo. Anche alla Paramount. Scorsese come Fellini, intesa perfetta con lei. Con Martin il mio prossimo set. Ambientazione, il Giappone del '600. Dal romanzo del nipponico Endo. Si gira da marzo, in Nuova Zelanda e in parte in Giappone. Un anno di lavorazione. Non mi chieda il cast, ancora è top secret. È l'ottavo film con Scorsese. Per Fellini ne ho fatti sei». Ma intanto a Rimini lavora sotto il segno di Federico. Già, il museo intitolato a lui e la ristrutturazione del suo cinema, il Fulgor. Sarà una posto tipicamente felliniano, due sale tecnologicamente avanzatissime, ma atmosfera anni Quaranta, con quei bassorilievi di una volta. Ecco l'altro Ferretti, quello che ridisegna musei, spazi, eventi. Parli di Torino e di Roma. A Torino il Museo Egizio sarà pronto per il 2013. Agli archeologi la parte didattica, a me il compito di portare indietro nel tempo. Ma con materiali autentici, mica finti, come davanti alla cinepresa. A Roma poi firmo l'allestimento della Mostra su Sergio Leone. Appuntamento il 15 ottobre prossimo all'Auditorium, Festival del Cinema. Arriva Francesca Lo Schiavo, sistema i suoi disegni sull'altra scrivania. Regala il segreto della sua soddisfazione: «Ho cominciato a lavorare per il cinema con Dante, insieme facciamo team, ci capiamo al volo, ciascuno nella nostra autonomia. Non chiedetemi perché non affronti impegni da sola. Mi bastano le gratificazioni che ho avuto con grandi registi e con Dante, che capisce perfettamente, e senza far mai perdere tempo alla produzione, che cosa vogliono. Magari un lavoro lo accetterei, senza di lui. Un progetto per Roma».

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