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Quando il botteghino piange

Maurizio Costanzo

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Tiberia de Matteis L'attesa approvazione di una legge per il teatro non è certo una panacea per la soluzione dei tanti problemi che affliggono la prosa italiana. Pubblici o privati, i teatri denunciano tutti l'insufficienza dei fondi elargiti. «Va ricordato che non conosciamo il contributo del 2009 e siamo già a settembre» lamenta Giovanna Marinelli, direttrice del Teatro di Roma. «Le commissioni non si sono ancora riunite. La nostra funzione è formare un pubblico e mantenere una politica dei prezzi: gli spettatori sono cresciuti e anche l'India, con i suoi spettacoli di ricerca, va molto bene per gli spettatori a cui è destinato». «La qualità culturale va sempre finanziata e la prosa non suscita sprechi rilevanti» ha chiarito Geppy Gleijeses, direttore del Quirino. «La nostra avventura di privati alla guida di un teatro non può far pensare a un disimpegno dello Stato. La legge della Carlucci è ottima, tuttavia dubito che venga approvata perché i tempi non sono maturi e soprattutto non ci sono i soldi per applicarla». Sulla stessa linea il regista Piero Maccarinelli che aggiunge: «È superfluo parlare di una legge, peraltro buona, quando c'è una questione più urgente e allarmante: il federalismo fiscale già approvato non mette la cultura come funzione fondamentale nella carta delle autonomie e ciò significa che non ci sarà più la certezza dei finanziamenti né dallo Stato, né dalle Regioni, né dalle Province, né dai Comuni. Se non si trova la copertura finanziaria, la cultura rischia di essere tagliata come se non fosse una necessità. Non è vero, inoltre, che noi teatranti siamo assistiti: anche chi, come me, fa a meno dei soldi pubblici da una vita non può usufruire dei finanziamenti privati con detassazioni, agevolazioni e strumenti concessi alle altre imprese». «Sarebbe opportuno ridurre gli oneri fiscali, l'Iva e tutte le spese che gravano sul teatro e non tutelare la cultura è un atteggiamento medioevale, oscurantista e offensivo» ha dichiarato anche Luigi De Filippo, erede di una storica famiglia votata al palcoscenico. «Il finanziamento del Ministero ci basta soltanto per pagare i contributi del personale» ha precisato Christopher Axworthy, direttore artistico del Teatro Ghione. «Siamo penalizzati dalle scelte politiche e per sopravvivere abbiamo mutato la nostra vocazione al teatro classico per accogliere un pubblico sempre più variegato. Vivere del botteghino è impensabile. Paghiamo le tasse e il sostegno dello Stato alle attività culturali di un Paese è doveroso».

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