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Mame, la pazza zia d'America

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RobertaMaresci Una zia d'America ci salverà. Anzi, quella sciroccata di «Zia Mame» (Adelphi, pag. 380) ci ha già salvato. È accaduto a chi l'ha etichettata come caso letterario dell'estate. Ma è successo anche a quei duemilioni di lettori che l'hanno letto nel 1955 quando, dopo essere stato rifiutato da diciannove editori, fu pubblicato negli Stati Uniti rimanendo 122 settimane nelle classifiche del New York Times. Ambientato nel '28, alla vigilia della Grande Crisi, c'è un foxtrot ilare e turbinoso di feste, avventure, colpi di fortuna e disgrazie consumate in un'America dove tutti sembrano (o sono) ricchi. Nonostante l'edizione italiana dell'Adelphi curata da Matteo Codignola sia un dèja vu, dato che sono state omesse le edizioni di Garzanti e Bompiani, in sostanza la risposta americana a Mary Poppins è la storia di un orfano affidato alla zia. Malgrado non piaccia agli ultras della curva D'Orrico, che su La Stampa ha bollato come "bischeri" i sostenitori dell'incontenibile leggerezza avuta da Patrick Tennis nella scrittura, «Zia Mame» ha preso il posto di un'altra zia: zia Oriana Fallaci. È stata lei, l'anno scorso, a rovinare la festa a Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega con «La solitudine dei numeri primi». Quest'anno è toccato a Mame che, con tirature da superenalotto, ha limitato il successo dello «Stabat Mater» di Tiziano Scarpa. Forse perché fa ridere. Fa venire in mente le scene dei film con le torte in faccia e le comiche stile Dickens. Se decidete di leggerlo munitevi di fazzoletti, ma solo per farvi delle grasse sghignazzate e tamponarvi gli occhi pieni di lacrime. E prendetevi il vostro tempo: perché sarà triste togliere le braccia intorno al collo della «zia». Colpa (o merito) di Patrick Tennis che ha lasciato sconfinare i suoi personaggi in dialoghi scriteriati. Senza perdere di vista l'obiettivo d'indurci a pensare che la vita è un'avventura meravigliosa. Pur sapendo di mentire spudoratamente. Strano a dirsi, ma pare che dietro Patrick Tennis ci fosse Edward Everett Tanner III, uomo che finì in ospedale psichiatrico dopo aver trasformato in commedia «Zia Mame», facendola interpretare a Broadway da Rosalind Russell. Avendo tempo per comporre l'autobiografia di una diva hollywoodiana del Burlesque, col titolo «Belle Poitrine». Scrivendo «Genius», prendendosi gioco dei film troppo colti. Tentando il suicidio e, da sopravvissuto, ribattezzarsi Psychopatrick per vestire i panni di un gallerista d'arte. Per fare poi il maggiordomo, ma chiamandosi Edward Tanner e non Ito, servitore giapponese di "Zia Mame".

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