"Rossellini, De Sica e la Magnani? Non erano di sinistra"
Presenta «Giuseppe De Santis», filmato di un'ora su uno dei padri del Neorealismo, regista, tra gli altri, di «Riso amaro». Il documentario, ricco di testimonianze e spezzoni di famose pellicole, è prodotto dalla Felix Film di Laura e Silvia Pettini con Cinecittà Holding, Film Commission Torino, Regione Lazio e Associazione Giuseppe De Santis. Lizzani, regista di film-mito come «Banditi a Milano» e «Hotel Meina», all'inizio della carriera ha lavorato con De Santis come sceneggiatore e aiuto regista. Carlo Lizzani, cosa è per lei il documentario? «È la metà della mia vita: ci sono nato, come molti della mia generazione, che hanno iniziato a lavorare con documentari e cortometraggi. Ho girato in Cina, nel '57 e nel Sudest Asiatico nel '72 e '73, poi in Angola. Il documentario per il cinema è come la saggistica in letteratura, che è piena di grandi autori, come Erodoto e Machiavelli, che non hanno mai scritto narrativa». Un genere, il documentario, che recentemente è stato riscoperto. «Sì, ma purtroppo non in Italia. Passo la notte a vedere tanti canali, satellitari e non, che trasmettono documentari meravigliosi, ma di italiano non vedo niente, tranne Piero Angela». Chi è per lei Giuseppe De Santis? «È stato decisivo per la mia vita: ero giovanissimo e mi invitò a scrivere prima sulla rivista "Cinema" e mi volle poi come sceneggiatore per tre film: "Caccia tragica", "Riso amaro" e "Non c'è pace tra gli ulivi". Io lo indico come uno dei padri del Neorealismo. Su questa sua "paternità" c'è stata una querelle. Il Neorealismo è un movimento che ha conosciuto varie poetiche e diversi contenuti. È stata una rivoluzione del linguaggio e dei contenuti da un punto di vista individuale e corale. De Santis interpretò nel suo modo questa rivoluzione». Nella sua carriera solo dieci film... «Ebbe la fortuna di avere un successo grandissimo con "Riso amaro", così riusciva ad avere dei compensi anche per film che poi non venivano realizzati. Era una persona molto rigorosa, non aveva flessibilità... e poi fu molto osteggiato perché considerato troppo legato al Partito comunista. Prima c'era l'egemonia culturale della destra, regalata poi alla sinistra». Regalata? «Ma sì, De Sica, Rossellini, Pietro Germi, non sono mai stati comunisti, sono stati regalati alla sinistra. De Sica e Rossellini devono aver votato tutta la vita per la Democrazia Cristiana, Germi era fortemente anticomunista. Ma sono stati fatti passare per comunisti per le tematiche delle quali si occupavano. Stessa cosa è accaduta alla Magnani, che invece era qualunquista. Schierati con il Pci c'erano Visconti, De Santis, Zavattini e poi anch'io, che poi sono divenuto critico dopo i fatti d'Ungheria». Cosa rende attuale oggi Giuseppe De Santis? «La conoscenza del mondo contadino, che va scomparendo, e il suo stile stile enfatico, barocco, che lo rende unico. Mi ha insegnato la grande importanza che ha lo scritto per il cinema. Dietro il cinema c'è il pilastro della letteratura». Il suo film che preferisce? «"Roma ore 11", tratto da un fatto realmente accaduto, per la sua coralità, portata fino all'eccesso».