Nel circo la chiave della vita
Adesso, tornato al presente, lo ritroviamo in un circo. Ma non in un circo colorato e fantasmagorico alla Fellini, in cifre reali, così dimesse e astratte da lasciare insinuare tre le pieghe un indizio di metafora. Siamo in una cittadina francese. Sulla strada provinciale due auto, una è ferma, per un guasto, con una donna al fianco. L'altra, guidata da un uomo, sta correndo ma si ferma. L'uomo ripara il guasto e i due ripartono, quasi senza parole. Più in là il circo. Un tendone, due o tre roulottes, giocolieri e clown. La donna, che si chiama Kate, scopriamo che è l'erede del proprietario, morto da poco, e che ha ripreso in mano quell'attività dopo essersene separata anni prima, andando quasi in fuga lontano. L'uomo, che si chiama Vittorio, è italiano, anziché proseguire il viaggio, si ferma lì, attratto dal mistero che sente aleggiare attorno a Kate. Quando lo scoprirà - ha visto in anni lontani morirle di fronte l'uomo amato durante una pericolosissima esibizione - l'aiuterà a risolvere il trauma che l'aveva bloccata e ripartirà. Tutto lieve, senza strappi, senza note forti. Prima l'alone oscuro che grava sulla donna, e poi via via degli sprazzi deboli di luce, tramite vaghe ammissioni di chi attorno sa e, a un certo punto, anche della stessa donna, all'inizio ostile nei confronti dell'intruso. Mentre, di sfondo, ma anche sotto le luci piene della ribalta, si propongono gli scherzi dei clown, con iterazioni che non tardano a evocarvi in mezzo luci sinistre. Riflesse da quel confronto spesso indiretto fra Kate e Vittorio che, alla fine, libererà la donna dal suo incubo. Restituendola alla sua vita. Una regia tutta toni sospesi, con il gusto più d'una volta del non detto, una cornice che, appunto, nelle sue linee quasi astratte, assurge a simbolo: per preparare l'atto finale della liberazione. Lo compiono, convinti e convincenti, Jane Birkin e Sergio Castellitto. Con accenti saldi. (Concorso, Francia)