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Chavez e Damon in Mostra con la saga antiamericana

Matt Damon e Steven Soderbergh a Venezia

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Il colonialismo, lo sfruttamento dei Paesi egemoni su quelli più deboli, la crisi, la povertà e la rinascita di un'identità non asservita al potere. Questo il leit motiv del documentario - fuori concorso - «South of the border» (titolo ispirato ad una canzone di Sinatra) realizzato da Oliver Stone che, dopo il film su Bush e il prossimo sull'iraniano Akmadinejad, si è ormai dedicato alle vite dei grandi presidenti. Perché allora non fare un documentario anche su Berlusconi? «Tocca ai registi italiani pensarci, come Sorrentino o Moretti, che poi già l'ha fatto». Per Stone, diversi Paesi sono considerati dagli Usa e da molta stampa internazionale «non democratici» (come Argentina, Cuba, Venezuela, Paraguay, Brasile e Bolivia) solo in maniera strumentale. Il motivo? Per il regista e i suoi intervistati ci sarebbe paura dell'incapacità da parte degli States di un vero controllo di questi Paesi, finora perpetrato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). E in particolare, l'ostilità degli Stati Unti verso il Venezuela è figlia del petrolio. «Il Fondo - ha sottolineato il regista di "Platoon" - non è certo popolare nei 7 Paesi che ho esplorato e Ugo Chavez, presidente del Venezuela, è stato il primo a sfidarlo. Il mio film nasce anche dal desiderio di combattere la stupidità della stampa, oggi un fenomeno impressionante. Insomma, l'America teme che nasca un'area sudamericana con il suo status e la sua moneta unica: per 50 anni questo è stato impossibile anche a causa della politica del FMI». C'è ora una sorta di grande laboratorio politico in America Latina, una cosa voluta proprio da Chavez che s'ispira a Simon Bolivar e vuole contrastare la dittatura di Hollywood (bandiera dell'imperialismo americano) con la nascita degli studios di Caracas e il rilancio del cinema locale. Sette i leader sudamericani intervistati da Stone: Evo Morales (Bolivia), Lula de Silva (Brasile), Cristina Kirchner (Argentina), Fernando Lugo (Paraguay), Raffael Correa (Ecuador) e Raul Castro (Cuba). Tutti guardano a Obama come una grande speranza, che si è seduto al tavolo con tutti loro a Trinidad. Sbarcato sul Lido con una cinquantina di guardie del corpo, Chavez ha sfilato ieri sul red carpet facendo un vero show: «Ho l'Italia nel cuore, viva l'Italia», ha esclamato, «amo il popolo israeliano, ma non mi piace la politica del governo israeliano», ha concluso. Se nella conferenza stampa del film in concorso, «36 vues du Pic Saint Loup» (con Sergio Castellitto e Jane Birkin e da oggi nei cinema), è apparso imbarazzante il silenzio del regista Jacques Rivette, altro divo della giornata è stato Matt Damon. La star hollywoodiana, che per «Informant» (fuori concorso, diretto da Soderbergh e prodotto da Clooney), era ingrassato di 15 chili, interpreta un biochimico corrotto e bugiardo, spia dell'Fbi con il tesserino 0014, «perché sono furbo il doppio di 007», ha esordito Damon. Il tema del film attacca di nuovo il capitalismo americano truffaldino, il cartello internazionale dei prezzi e tutti quegli impicci di cui aveva parlato Moore proprio l'altro ieri sul Lido. Soderbergh, regista della commedia dark, sospesa tra ironia e ripetitività che uscirà il 18 ottobre in Italia distribuita da Warner, non è sorpreso dalle «bugie del potere. Ma per alimentarle ci voglio sempre due persone, chi dice la bugia e chi ci crede». La giornata anticapitalista e antiamericana è stata davvero calda per il diretto della Mostra Marco Müller, che si è però consolato ricevendo il premio Lido Philo - Carlo Eleuteri.

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