L'inizio della II guerra mondiale settant'anni fa a Westerplatte

Il capo di stato maggiore dell'esercito francese, Maurice Gamelin, aveva tre diverse risposte da dare a chi gli chiedeva cosa avrebbe fatto la Francia per aiutare la Polonia in caso di attacco tedesco. Perché sapeva che non avrebbe fatto nulla di quanto sancito dall'accordo militare del maggio 1939: immediata azione aerea, offensiva entro tre giorni su obiettivi limitatati e una su vasta scala entro quindici. «Morire per Danzica?». Il titolo del giornalista Marcel Déat pubblicato su L'Oeuvre del 4 maggio rispecchiava il pensiero dell'opinione pubblica francese che non aveva alcuna intenzione di mandare i suoi giovani soldati in aiuto a un popolo lontano e di cui poco si sapeva: troppo forte il ricordo del bagno di sangue della «grande guerra» 1914-'18.  Alle 4.45 del primo settembre 1939 le nuvole nere che si erano addensate sull'Europa si sgravavano dell'incandescente pioggia di Marte, col tuono della cannonata sparata dalla vecchia corazzata Schleswig Holstein - in finta visita di cortesia alla Città libera di Danzica - contro la penisola fortificata polacca di Westerplatte. Sul Baltico, in quell'alba livida, scoppiava la seconda guerra mondiale. La Polonia era la vittima sacrificale degli appetiti hitleriani, servita su un piatto d'argento una settimana prima da Stalin, con la firma del Patto Ribbentrop-Molotov. Il 23 agosto, sotto un apparente accordo di non aggressione, nazismo e comunismo si alleavano per spartirsi una fetta dell'Europa e metà Polonia ciascuno, così come stabilito nel protocollo segreto. Gli inconciliabili avevano stipulato un matrimonio d'interesse, il mondo assisteva attonito e sconcertato a una mossa spiazzante. Gran Bretagna e Francia correvano ai ripari legandosi alla Polonia ormai nella morsa del Reich e dell'Urss, promettendole un aiuto che non potevano darle. I polacchi si illudevano di poter infliggere alla Wehrmacht una sconfitta come quella impartita all'Armata Rossa nel 1920, e pure di poter resistere fino all'intervento dei potenti alleati occidentali. La nitroglicerina degli inganni, degli intrighi e della spregiudicatezza politica e militare esplodeva a capriccio col rintocco delle campane a morto per la Polonia. A 70 anni esatti le immagini più forti di quella guerra continuano paradossalmente a essere dei falsi: la cavalleria polacca che carica lancia in resta i panzer è un'invenzione della propaganda di Goebbels (nonché immagine poetica del film «Lotna» di Andrzej Wajda); non è vero che l'aeronautica polacca fu subito distrutta al suolo; la Wehrmacht non era la mitizzata e perfetta macchina da guerra che sarà nella Blitzkrieg contro la Francia del 1940. È vero invece che i polacchi infliggeranno dure perdite ai tedeschi e che saranno sconfitti senza mai arrendersi continuando a battersi su tutti i fronti fino all'ultimo giorno della seconda guerra mondiale. Un conflitto scoppiato per garantire alla Polonia libertà e indipendenza e terminato senza restituirle né l'una né l'altra: eliminato Hitler dallo scenario continentale, Stalin si terrà la sua fetta di Polonia ed estenderà il controllo su mezza Europa. Ancora oggi per la Russia è difficile fare i conti con quel passato (il caso di negazione e rimozione dell'eccidio di Katyn è emblematico). Nonostante l'Ocse abbia accolto una risoluzione in cui si rimarca la corresponsabilità sovietica nello scoppio della guerra, per la maggioranza dei russi il Patto Ribbentrop-Molotov ha una valenza affatto diversa, così come l'aggressione alla Polonia del 17 settembre 1939. Non è un caso che nei giorni scorsi la tv russa Vesti abbia trasmesso un programma su un fantomatico accordo Berlino-Varsavia per attaccare l'Urss, e il Komsomolskaja Pravda abbia rilanciato questa tesi pseudo storica che «giustifica» le mosse di Stalin. Il governo polacco non ha commentato per non guastare il clima con la presenza domani alla cerimonia commemorativa a Westerplatte del premier Vladimir Putin, il primo in visita in Polonia da oltre dieci anni. Con lui altri capi di stato e di governo europei e ministri degli esteri, dalla tedesca Angela Merkel al francese Bernard Kouchner, da Silvio Berlusconi al britannico David Miliban, dal premio Nobel Lech Walesa ai leader delle piccole repubbliche baltiche. Nessun invito per l'ex presidente polacco Wojciech Jaruzelski. Non è facile fare i conti con la storia neppure sui luoghi della storia.