I gloriosi principi Massimo la dinastia più antica d'Europa
Moltoimpegnativo, ma anche affascinante, poter aver un'idea della storia della dinastia dei principi Massimo, «Romani de Roma», come leggerete. È la Famiglia più antica d'Europa, come si legge oltre che nel Ghota (l'almanacco che ospita solo Altezze Reali, principi e duchi), in ponderosi volumi storici (tra cui lo studio approfondito di Tito Livio sulla «Gens Fabia») e persino nel popolare Guiness dei primati. I Massimo discendono dalla «Gens Fabia», tradizione storicamente confermata dal monaco amanuense Onofrio Panvinio fin dal 1400. Adesso mi accingo a percorrere con voi numerosi secoli di gloria e, alla dolorosa incombenza di ridurre tanto narrare, in un sofferto riassunto. Non dimenticando che anch'io, moglie di Don Carlo Massimo Lancellotti, sono onorata di rendere omaggio ai suoi ascendenti ed oggi, cugini. Ma c'è una salvifica «scorciatoia» per riassumere i Massimo. È un aneddoto storico, realmente accaduto nel 1797, quando il Marchese Massimiliano Massimo, dopo aver firmato, in veste di plenipotenziario per la pace, il trattato di Tolentino, nominato in seguito Ambasciatore da Pio VI, incontrò successivamente a Parigi, Napoleone Bonaparte. Bonaparte, di nobile famiglia corsa, (allora l'isola era ancora italiana), molto interessato alla storia della nobiltà, domandò al Marchese Massimo: «Cosa mi dice Marchese della storia per cui i Massimo discenderebbero da Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, che salvò la Repubblica da Annibale?». «Cittadino generale - rispose Massimiliano Massimo a cui non mancava lo spirito -. Le dico che questa storia la sento raccontare per casa da 2000 anni!». Ad ulteriore conferma il motto della dinastia Massimo è «Cunctando restituit» cioè «temporeggiando restituii» (sottointeso «la libertà alla Repubblica Romana»). Nel 1797, i Massimo erano già marchesi, ma già dotati di titoli più che principeschi. Per dirne uno, Baroni Romani, titolo feudale che, come scrisse Gregorovious, dava loro il diritto di amministrare la giustizia con potere assoluto, come Piccoli Re, com'erano infatti chiamati. Erano, e lo sono ancora, Signori del Castello d'Arsoli (dove trascorse la notte, in fuga da Roma, il re Vittorio Emanuele III con la Regina Margherita). I Massimo erano imparentati con i Savoia: la nonna dell'attuale capofamiglia Fabrizio era Maria Adelaide di Savoia; erano e sono proprietari fin dal primo medioevo dell'insula Massimo che comprendeva palazzi e case; di Palazzo Massimo all'Aracoeli; di Palazzo Massimo alle Terme; di Villa Palombara all'Esquilino e di immensi vigneti e boschi nelle cerchia di Roma; del Casino Massimo in Laterano (affrescato da famosi pittori detti Nazareni) e di Palazzo Massimo alle Terme, oggi Museo di Roma. Salendo e scendendo nei secoli, ho dimenticato di dirvi che, adesso, sono a Palazzo Massimo alle Colonne, in Corso Vittorio Emanuele, rione Parione a due passi da Piazza Navona, ricevuta dal capofamiglia Fabrizio Massimo, laureato in Fisica nucleare, che parla perfettamente inglese, tedesco e francese. Mi piace che, dalle parole di Fabrizio, sappiate un po' di storia su questo magnifico palazzo, ricco di cortili, logge, bassorilievi, statue antiche romane, con l'armoniosa entrata delimitata dalle colonne da cui il nome Palazzo Massimo alle Colonne. «Sotto questo portico - mi dice Fabrizio - era uso che i notai redigessero i rogiti. Il palazzo fu realizzato da Baldassare Peruzzi nel 1527, ispirato dal Foro Romano, sopra i ruderi della nostra casa ridotta così dalla soldataia lanzichenecco, durante il famigerato sacco di Roma secondo i disegni di Giovanni Mangoni da Caravaggio discepolo di Antonio da Sangello. La facciata originale del palazzo (che da su Piazza de' Massimi) è quella istoriata con affreschi monocromatici dalla scuola di Daniele da Volterra, raffiguranti scene storiche e bibliche. L'insula Massimo comprendeva altri palazzi e cortili attigui. Nel Palazzo, detto di Pirro per distinguerlo dagli altri, c'era una bellissima scultura (che si pensava rappresentasse Pirro invece era il Dio Marte) oggi al Museo Romano. In questo momento, interrompendo la mia espressione ammirata per l'erudizione del giovane principe, entra nel salone dove siamo sua sorella Barbara e la mia espressione ritorna quella di prima. Barbara, fidanzata di Scipione Borghese, è laureata in Lingue e Letteratura straniera, perfettamente padrona del tedesco, francese e inglese. È una giovane dama bellissima, che fa onore al detto storico che fu coniato nel '500: «Gens Maxima foeminarum pulchritudine celebris» («Le donne della dinastia Massimo sono celebri per la loro bellezza»). Barbara ha un nome che ricorre spesso alla Casata Massimo. Ha due occhi belli e penetranti, che possono far pensare che possa «vedere» cose invisibili agli altri. Da un passato di top model, si è poi interessata agli studi esoterici e astrologici e all'approfondimento della filosofia buddista. Attualmente tiene da anni con successo una seguitissima rubrica di oroscopi per un popolarissimo settimanale. Sarà una coincidenza, ma Barbara si chiamava anche una nobile Savelli (i Savelli si estinsero nei Massimo) che sposò un Francesco Massimo e frequentò Villa Palombara, nell'attuale Piazza Vittorio all'Esquilino. Barbara Savelli era figlia dell'occultista ed alchimista Massimiliano che fece costruire nel parco il più misterioso monumento di Roma: la Porta Magica che si può ammirare anche oggi. Ma non si possono decifrare i suoi geroglifici e le sconosciute lettere in latino che incidono il portale. Pare siano la spiegazione della leggendaria pietra filosofale che, in realtà, nell'occultismo non è un oggetto ma conseguimento spirituale. Due statue del dio Bes, divinità egizia della beffa, affiancano la porta e se la ridono alla faccia dei tanti curiosi. La leggenda dice che, all'interno della Porta Magica, gli alchimisti tramutassero il piombo in oro. «Ma secondo me - dice Barbara - questa è una leggenda inventata ad arte da Massimiliano, per giustificare i suoi ritiri con gli altri occultisti, come Cristina di Svezia e Cagliostro, all'interno della porta. A quei tempi c'era anche l'Inquisizione…. Molti pellegrini e persino Cristina di Svezia, ideatrice dell'Accademia Arcadia, erano assidui visitatori della Porta Magica…». La Famiglia Massimo ebbe due Papi, San Pasquale I e Sant'Anastasio I, oltre a un celebre Santo protettore, San Filippo Neri detto Pippo Bono (1515-1595). A Fabrizio Massimo profetizzò che «le sue discendenze mai si estinguerebbero né mancherebbero di pane». Ne fa fede, oggi, il capofamiglia Fabrizio Massimo che ha quattro figli: il primogenito Giacomo (15), i due gemelli Marcantonio e Barbara (9 anni) e Olimpia (7). Il suo avo, Fabrizio Massimo, fu confortato dal Santo con un toccante miracolo. Il 16 marzo, suo figlio Paolo, soltanto quattordicenne, moriva. Il giovanetto era il prediletto di Pippo Bono. Il Santo corse a Palazzo per rivedere il suo Paolo ma il ragazzo era già morto da una mezz'ora «…et davanti al letto si inginocchiò et facendo oratione stava palpitando; et poi si fece dare dell'acqua benedetta, la buttò addosso a Paolo chiamandolo a voce alta "Paolo… Paolo". Et allora Paolo aprì gli occhi e disse "Padre". Et allora il beato Padre gli dette in mano un crocefisso e parlarono insieme. Confessato ed interrogato il fanciullo, Pippo Bono gli disse se sarebbe tornato volentieri a morire. Paolo rispose che sì e dicendogli il Padre "Horsù va, che sii benedetto e prega Dio per me". Paolo chiuse gli occhi senza fare alcun movimento, morì» (dalle cronache di San Filippo Neri). Il mio «miracoloso» ma non esaustivo riassunto della dinastia Massimo finisce qui. Il 16 marzo di ogni anno, nella ricorrenza del miracolo, la Famiglia apre il portone del palazzo al popolo di Roma.