La fragilità dei rapporti a ritmo di hip hop
Eccocicosì di fronte all'opera seconda di un giovane regista americano, Jonathan Levine, che è un patito di hip hop cui ha dedicato un cortometraggio di fine studi. Anche qui quasi tutti i personaggi ne parlano, vi si appassionano e se lo regalano reciprocamente in cassette musicali. Del resto siamo a New York in quegli anni Novanta in cui il movimento hip hop impazzava dappertutto anche se il sindaco Rudy Giuliani aveva adottato metodi drastici per porre un argine agli eccessi che provocava nel contesto sociale. Nei suoi livelli più bassi facciamo conoscenza con due curiosi personaggi. Uno, Luke, è molto giovane, ha appena finito il liceo, sta aspettando di andare all'università ma, per aver denaro non solo da spendere per se stesso ma per aiutare la sua famiglia minacciata di sfratto, è diventato un abilissimo spacciatore di droga. L'altro, Squires, è un suo insegnante, poco felicemente coniugato e pronto a dare al suo allievo dei consigli fra la psicologia e la psicanalisi facendosi compensare con piccole dosi di droga. Ha una figliastra, Stephanie, di cui Luke si innamora, ricambiato in modo spiccio, all'insegna solo del sesso, con un rifiuto così preciso dei sentimenti che quando l'altro, in quel campo alle sue prime armi, vi fa riferimento, viene messo alla porta... Le storie si intrecciano, altri personaggi vi si aggiungono, i rifornitori di droga di Luke, i suoi genitori, le donnine cui Squires si rivolge per amoreggiare qua e là, approdando però a situazioni in cui tutti più o meno, si ritroveranno senza vere soluzioni: all'insegna di fragilissimi rapporti reciproci che non condurranno quasi da nessuna parte. Anche la costruzione narrativa è fragile. Levine, con la sua regia, la sostiene comunque con ritmi intensi affidati ad immagini, in interni e in esterni, in cui sul colore prevale un po' cupa e un po' oscura, una dominante ocra, quasi a creare un clima unico per tutti. In mezzo, come Squires, si impone il grande Ben Kingsley, insolitamente corrusco ed arruffato. Forse ricordando il suo Fagin in «Oliver Twist».