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Che magnifico sogno, quello del Cardinal Giambattista Pallotta, in pieno Seicento governatore della Roma barocca e poi Legato Pontificio in Emilia.

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Volevatrasformare la sua cittadina natia, Caldarola, in provincia di Macerata, in una piccola e fastosa Roma. E sotto un certo punto di vista ci riuscì pienamente, come rivela una mostra per molti versi sorprendente, intitolata «Le Stanze del Cardinale», presentata fino al 12 novembre nel Palazzo dei Cardinali Pallotta a Caldarola e curata da Vittorio Sgarbi. Raffinato e colto collezionista di opere d'arte, uomo dall'animo «troppo gagliardo», come dice una fonte del tempo, ma anche testardo ed eccentrico, il Cardinale divenne celebre per la sua illuminata ed equa amministrazione durante il suo governatorato della Città Eterna. Ma sempre avendo nel cuore la sua Caldarola, dove riunì una collezione ricca di oltre cinquanta capolavori, molti dei quali sono ora riportati nella sede originaria. In quasi tutte le opere sono dichiarate virtù che si legano a due elementi assai cari al Cardinal Pallotta: la Religione e la Giustizia. Fra le tele di maggior pregio in mostra spiccano la «Maddalena penitente» (dalla Galleria Doria Pamphilj di Roma) e il «San Francesco in meditazione» (dal Museo Civico Ala Ponzone di Cremona) del Caravaggio. Ma straordinari sono pure i tre paesaggi di Gaspard Dughet, l'«Angelo Custode» del Domenichino, l'«Eterno Padre» di Giovanni Lanfranco, «Clorinda fa graziare Olindo e Sofronia dal rogo» di Mattia Preti. Per non parlare della sfilata di opere magistrali del Guercino, tali da farci restar senza fiato: dalla «Sibilla» a «Damone e Pizia», dal «Suicidio di Catone Uticense» all'«Ecce homo» e alla «Sibilla Samia». Per chiudere con le celestiali e classicistiche devozioni, tutte occhi all'insù verso il Padre Eterno, di Guido Reni («Santa Caterina d'Alessandria e due angeli», «San Sebastiano», «Ecce Homo») e del Sassoferrato, con la sua purissima «Vergine in preghiera». Una collezione fuori dal comune per un uomo eccezionale e generoso, capace anche di sostenere a proprie spese negli studi teologici molti giovani. Il pregio principale della mostra è quindi quello di aver restituito dopo quattrocento anni un volto a una collezione «scomparsa» di mirabili dipinti, impreziosita da grandi nomi della pittura barocca e ammirata al tempo da due intenditori del calibro della regina Cristina di Svezia e del principe Casimiro di Polonia. Insomma, una raccolta unica per la sua importanza, ma smembrata dagli eredi per riparare la grave situazione debitoria che incombeva alla morte del Cardinal Pallotta, avvenuta nel 1668. Inoltre, va segnalata un'impegnativa campagna di restauri che crea un valore permanente e che ha restituito alle opere una splendida collezione di leggibilità. Rifiorisce di nuova bellezza, ad esempio, la «Madonna in gloria» di Carlo Maratta, opera conservata nelle Marche, nella chiesa dei Caracciolini di San Ginesio. Appare poi con un volto nuovo, grazie a un restauro completo, anche la grande tela del Guercino raffigurante «La cacciata dei mercanti dal tempio», in prestito dalle raccolte comunali genovesi di Palazzo Rosso, dove è giunto in passato un nucleo consistente dei dipinti del Cardinal Pallotta. In questo capolavoro del Guercino, nella «tempesta» con cui Gesù allontana i profanatori del luogo sacro, è evidente un riferimento diretto allo stemma del cardinale. Giunge sempre da Genova anche il dipinto di Mattia Preti scelto come immagine simbolo della mostra, «La liberazione di Olindo e Sofronia»: il raro tema è tratto da un canto della «Gerusalemme Liberata», che rivela l'interesse del dotto Pallotta per i soggetti letterari nei quali si esprime il compiacimento per la bellezza femminile.

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