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Andrea Vitali, quando ha deciso di fare il giornalista? «Fin da piccolo.

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Ioinvece avevo chiaramente in testa cosa volevo fare da grande: il giornalista». E suo padre glielo ha vietato? «Mio padre ha voluto che facessi medicina e quindi non ho avuto il coraggio di dissuaderlo». E oggi fa il medico? «Sì, medico di base». E quando è diventato scrittore? «C'è stata una svolta narrativa nella mia vita. Quando ho cominciato a vedere quello che prima guardavo soltanto. Nel '90 in una sera di maggio mio papà dopo cena ha cominciato a raccontare avventure giovanili di guerra. E così è nato "Il procuratore", un libro che amo moltissimo». E le altre storie? «Sono storie quasi vere, mi vengono raccontate in ambulatorio nel corso della mia professione». Finalista al premio Strega con "Almeno il cappello", un'esperienza... «Un'esperienza emozionante. Anche se nel 2006 ho vinto il premio Bancarella con "La figlia del podestà"». È giusto partecipare o è giusto vincere? «L'importante come si diceva è partecipare. Certo se si riesce anche a vincere è tutta un'altra cosa». Come ricorda la sua infanzia? «Sono nato a Bellano sul lago di Como. Mio papà, Antonio, impiegato comunale; mia mamma Edvige maestra d'asilo: una famiglia numerosa. Mia mamma è stata un esempio per tutti noi. Mio papà era sempre serio e taciturno». Come hanno inciso sulla sua crescita? «Figure che sono state determinanti per la mia crescita. Mio papà si è trovato solo con sei figli e una mia zia mi dato davvero tanto sostegno». Era bravo a scuola? «Sì, me la cavavo». La letteratura è un territorio di libertà? «Assolutamente sì. Forse è uno dei pochi territori di libertà rimasti nella nostra società». Scrive per sé, per gli altri o per l'eternità? «Perché ne ho bisogno, perché mi piace ascoltare gli altri, perché mi piace comunicare proprio con la scrittura».

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