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Pluralità e identità a cavallo di mille nazionalismi

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Oggi,forse, una «celebrazione» non ha senso, e risulta essere soltanto un'azione simbolica di natura retorica. Ma l'italianità, l'unità d'Italia, il sentimento di appartenenza, sono come l'aria: nessuno l'apprezza finché non scarseggia. Gli italiani, lo sappiamo, sono i campioni delle «emergenze», e se davvero qualcuno dovesse mettere in discussione l'unità d'Italia - sul serio - gli italiani reagirebbero con forza. Di questo ne sono certo. Una riflessione non retorica sullo «stato dell'unione» implica però necessariamente una riflessione sull'identità, sulla lingua (o sulle lingue), sul sentimento di appartenenza. Al di là delle grossolane contrapposizioni tra «nazionalisti» e «antinazionalisti», di natura europeista o regionalista, forse bisogna incominciare ad accettare la pluralità e la stratificazione dell'identità degli italiani. Credo, infatti, che in ogni italiano ci siano quattro sentimenti crescenti di identità, cioè quattro livelli identitari. Il primo livello è di natura «locale», e implica il legame con una geografia «particolare». Nessuno vive davvero in Italia senza vivere prima in un piccolo paese, in una campagna, in una città con i suoi umori, le sue parlate, le sue storie, cioè la sua epica locale. Il secondo livello consiste nel sentimento dell'italianità, nel riconoscimento culturale e politico di un processo faticoso di unificazione di territori che spesso hanno avuto sorti comuni, nonché una letteratura e una lingua comuni. Il terzo livello identitario è quello europeo, iniziato con forza all'indomani della seconda guerra mondiale, quando si è posto fine ai conflitti tra le nazioni d'Europa tentando di far emergere i tratti comuni, una certa comunanza nella visione del diritto, delle istituzioni, della moneta. Il quarto livello identitario degli italiani è "globale", nel senso che nessuno, nel 2009 o nel 2011, potrà svincolare le proprie sorti culturali ed economiche dagli scenari cangianti e complessi della cosiddetta globalizzazione. Quindi, secondo me, bisogna assolutamente evitare contrapposizioni strumentali tra "nazionalisti" e "antinazionalisti". In ogni italiano ci sono questi quattro strati identitari, e ognuno di questi strati mette in discussione l'altro, arricchendolo. Rimane però il fatto che noi tutti parliamo la lingua italiana, e che ci riconosciamo in una storia che possiamo definire senza rischio di essere smentiti come italiana. L'Italia è una realtà concreta e forte. All'onorevole Umberto Bossi, che ha tuonato contro le celebrazioni, vorrei ricordare che nelle sue tante sortite pubbliche lui parla sempre e comunque l'italiano. E che le aziende del Nord-Est esportano in tutto il mondo. Che poi si sia legata al proprio paese o al proprio "particulare" territoriale o linguistico, questo è solo un bene, una delle tante facce del prisma che è l'identità italiana dopo centocinquanta anni dall'unificazione.

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