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Italiani signori dell'archeologia

Fazzuoli tra le rovine

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"Chi si loda s'imbroda: gli italiani sono gli archeologi migliori, ma è meglio che lo dicano gli altri": Federico Fazzuoli liquida con una battuta l'eterna polemica sugli abitanti del Belpaese, apprezzati più all'estero che a casa loro, e annuncia un ciclo Rai sulle missioni all'estero. Articolato in cinque puntate "Heritage, viaggio tra gli italiani che salvano il patrimonio dell'umanità" andrà in onda su Raiuno da giovedì 13, alle 23,30, fino al 10 settembre. Cinque le puntate: "Oman: Salut, il Dio Serpente", "Siria: Cristiani e mussulmani nel Monastero di Deir Mar Musa", "Turchia: La città sacra", "Speciale terremoto: la lotta per salvare le opere d'arte", "Cipro: La fabbrica del lusso". Le trasmissioni, in collaborazione con Rai International e il Cnr, sono curate da Federico Fazzuoli e Marco Ravaglioli. Federico Fazzuoli, «Heritage», perché questo titolo? «Curare il patrimonio culturale è una delle cose che gli italiani sanno fare bene: abbiamo una grande esperienza e sempre più spesso dall'estero ci chiamano per un supporto, l'Unesco ci chiede aiuto, le ditte italiane vincono gare d'appalto. Missioni archeologiche italiane sono presenti in più di cento Paesi. L'Unesco usa il termine "heritage" per indicare il patrimonio culturale mondiale. È un termine che chi si occupa di beni culturali incontra sempre più spesso». Qual è la linea che unisce le varie puntate? «Le scelte sono in parte casuali, comunque abbiamo scelto gli scavi aperti. Volevamo andare in Cina, dove noi italiani stiamo restaurando la Sala del trono della Città Proibita, ma non è stato possibile, ma lo faremo, speriamo, in una prossima edizione, così come non è stato possibile andare ad Ajanta in India e a Bam in Iran. Siamo stati però in Oman, dove, in mezzo al deserto, è stato scoperto un enorme santuario dedicato al Dio Serpente e dove dovunque spuntano serpenti di bronzo o ceramica risalenti al secondo e terzo millennio avanti Cristo». Qual è la missione più importante e qualificante?  «Hierapolis, in Turchia, dove c'è una faglia dalla quale fuoriescono esalazioni che uccidono uomini e animali. Per questo nell'antichità credevano che quella fosse la porta degli Inferi. E per questo lì sorse un grandioso santuario di Apollo e intorno a questo una città, prima greca e poi romana. Una città che fu distrutta, nel 70 avanti Cristo, da un terremoto. L'Italia qui è presente da 52 anni, una lunga storia di scavi, ricerca e ricostruzioni con otto atenei coinvolti e coordinati dal professor D'Andria dell'Università di Lecce». Quanti sono gli archeologi italiani «a spasso» per il mondo? «A Hierapolis ce ne sono ottanta, in altri siti sono sette o otto. Al lavoro di questi si aggiunge poi quello degli studiosi nelle università italiane. In tutto sono tra i tremila e i cinquemila, in ogni parte del mondo». Perché la cultura spesso viene messa in seconda serata? «È un cane che si morde la coda: si pensa che l'archeologia faccia meno ascolti, ma se non abituiamo i cittadini continueremo a vivere in questa situazione. Sono comunque soddisfatto e devo ringraziare il vecchio direttore Del Noce e ora Mazza per lo spazio su Raiuno».

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