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Una parola esprime l'esistenza

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Sipotrebbe sintetizzare così «Qoelet Blues» opera prima del ventottenne Niccolò Alberici tra pochi giorni in libreria. Più di 220 pezzi, o blues, dove protagonista è la parola come «genesi» del racconto di ogni personaggio. «Volevo creare una singola unità linguistica, un morfema da trascinare in ogni parte del libro espresso dalle bocche delle menti delle persone che narrano», spiega l'autore. In calce al libro quattro atti recitativi, che l'autore definisce veri e propri «radiodrammi». Il più significativo è l'ultimo: Famiglia Gurskij nato da un'esperienza personale di Alberici. Un viaggio ad Amsterdam e il racconto di una donna, all'epoca ragazzina, che ha visto portar via la famiglia di ebrei che le viveva accanto dai nazisti. Una collaborazionista forse che con le sue parole esprimeva «la pena provata da una persona dalla libera e giusta coscienza che si è trovata a compiere qualcosa di orribile, indicibile, non facilmente ricordabile, ma che nei fatti della realtà di questo mondo ha avuto luogo», spiega. L'esempio più significativo di ciò che è «sembratoscomparso», ma in quanto reale porta con sé il significiato di un'intera esistenza. La scrittura per Alberici è proprio questa: non passione, ma esistenza, «un atto che si tinge di estremo».

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