C'era una volta la Capalbio della sinistra «descamisada»
Unpaesino aggrappato su una collina coperta di lecci che degrada verso una campagna gialla di stoppie dove pascolano bianche mucche dalle corna lunghe e attorcigliate, dove i butteri vanno a caccia di cinghiali a ridosso di una strada, tutta curve che porta fino ad una spiaggia ventosa. È Capalbio, la «Piccola Atene» della maremma, Capalbio sinonimo di libertà assoluta per la sinistra sauvage operaista trotzskista (non la gauche champagne odierna) che la scopre negli anni '70. Capalbio è un «luogo dell'anima» per Giovanna Nuvoletti in Petruccioli che, proprio perché la conosce bene ed ha contribuito a crearne la fama, si può permettere anche di smitizzarla raccontandone ne «L'era del cinghiale rosso» (Fazi, pag. 278) usi e costumi dei suoi aficionados, descrivendo il declino di quel cenacolo anticonformista grazie a frotte di veline, finti vip, fotografi, giornalisti all'assalto dell'Ultima spiaggia con gli asciugamani firmati. Capalbio è proprio cambiata? «Ogni anno si dice così, ma la passeggiata, la spiaggia libera, la natura sono sempre uguali - spiega Giovanna Nuvoletti, fotografa e giornalista - certo gente e case sono di più, i parcheggi sono pieni...» Come era invece quando Libera, la ricca ragazza milanese, protagonista del suo libro la scopre? «C'erano quattro gatti, noi eravamo una banda e vivevamo praticamente tutti insieme ed il grande animatore era Philippe Daverio, sfrattato dal suo casale e oggi riparato a Tarquinia». Marramao, Occhetto, Asor Rosa, Rasy, Missiroli, Castellina, Maffettone, Colombo, Rutelli e signora...una comunità fatta dalla meglio sinistra. «È vero, c'erano intellettuali e comunisti ma anche tanta gente non di sinistra, c'erano gli sportivi, i proprietari della Sacra, ricchi borghesi, comunisti romani, socialisti e gli arricchiti che però negli anni successivi non tornavano». Perché? «Perché Capalbio non era la Versilia, non c'era lo struscio, il porto, l'elicottero...Capalbio era romantica, economica, era vacanza selvaggia, grandi mangiate di salsicce di cinghiale e misticanza...c'era un'atmosfera speciale, divertimento, chiacchiere, profondi ragionamenti...Noi eravamo una tribù, ma allora come ora, specie sull'"ultima spiaggia" c'è tanta gente che nemmeno conosci». Ma chi creò il mito? «Fu Enrico Filippini, detto Nanni, citato nel mio libro, che scrisse il primo articolo. Arrivò a Capalbio e trovò Marramao e altri che facevano discorsi filosofici sulle sorti del mondo...» ..poi divenne trasgressiva con il bacio di Occhetto e Aureliana Alberici? «Trasgressivo non direi, un bacio romantico sì, ma chiaramente una posa...» E le sfide? «È tutto vero quello che racconto: le sfide a colpi di zuppa di pesce tra Occhetto e mio cognato Sandro, le torte in faccia a una festa tra me e la moglie di Philippe Daverio, le epiche battaglie a colpi di bucce d'anguria tra Marramao ed altri colleghi. Anche io ho versato un'insalatiera di spaghetti sulla testa di un tale che mi aveva chiamata "contessa Agnelli"». Disdicevole? «Mio padre era il conte Nuvoletti, io non faccio parte della famiglia Agnelli anche se, i pochi che ho conosciuto, sono adorabili. Io ho sempre lavorato per vivere e così mio marito». Una "capalbiote" come lei che ne pensa dell'autostrada? «A strillare di più sono quelli che hanno paura di ritrovarsi la strada sotto le finestre. Io dico che un'autostrada che corre lungo il mare non mi pare intelligente anche se è inevitabile che si dovrà abbattere qualche casale, qualche agriturismo...L'importante è che si faccia una strada fatta bene nel rispetto di Capalbio e del suo futuro». L'"antipatica" Nuvoletti con questo libro si è fatta più amici o nemici? «La differenza la fa il quoziente d'intelligenza: c'è chi sghignazza e chi se la prende...Un giornale scrisse che ero antipatica ma io non amo formalità, mondanità, snobismo. Voglio pensare che le persone amiche, quelle a me vicine, siano quelle che mi vogliono bene e alle quali voglio bene. Per il resto, adoro essere antipatica». E una persona così è simpaticamente adorabile!