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Tracy Chapman: la voce dell'impegno sociale

Tracy Chapman

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Una voce calda e accogliente, a cavallo tra tonalità maschili e acuti femminili. Tracy Chapman è una delle più importanti songwriter in circolazione ed è riuscita a tenere alta la bandiera dell'impegno sociale anche in anni in cui appariva più redditizio dedicarsi al disimpegno più totale. Correva l'anno 1988 quando la Chapman si affacciava nel music business con l'album omonimo che conteneva brani che poi sarebbero divenuti grandi classici del suo repertorio: «Talkin' 'bout a Revolution», «Fast Car», «Across the Lines», «Behind the Wall», «Baby Can I Hold You», «Mountains o' Things», «She's Got Her Ticket», «Why?», «For My Lover», «If Not Now...» e «For You». La sua vicenda artistica è proseguita l'anno successivo con «Crossroads» e poi con gli altri lavori live e in studio fino all'ultimo cd intitolato «Our bright future», datato 2008. Oggi alle 21 la cantautrice si esibirà alla Cavea dell'Auditorium - Parco della Musica nel corso della rassegna «Luglio suona bene». Dopo diverse esibizioni per voce e chitarra, questa volta sul palco si presenterà con la band al completo. La sua musica comunica sempre messaggi importanti, l'impegno umanitario è sempre forte in tutte le avventure che intraprende. La Chapman è riuscita a combinare la musica folk degli anni Settanta con melodie semplici e testi significativi e ha spinto un'intera generazione di cantanti e cantautori a intraprendere la stessa strada negli anni Novanta. Canzoni come «Fast Car», «Give Me One Reason» e «Talkin' About a Revolution» l'hanno fatta emergere come una delle voci della musica afroamericana. Tracy Chapman ha cominciato come artista di strada suonando la chitarra e cantando nei bar fin da piccola. Ha studiato antropologia e cultura afroamericana mantenendosi grazie alle borse di studio ma fu presto notata dal produttore Brian Koppelman, con cui ha pubblicato il suo primo disco. Venne notata subito dalla critica per la sua capacità di unire ritmi afro, folk e rock a testi impegnati che trattano storie di povertà e marginalità delle periferie americane. Ma in quelle periferie si possono rispecchiare tutte le marginalità della nostra società globalizzata.

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