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Voleva i romani, le famiglie.

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Infischiandosenedel caldo, senza fare poi troppa fila per via delle prenotazioni via internet, ci sono i gruppi di amici, la mamma che spinge il passeggino, il papà con la sua biondina a cavalcioni sulle spalle. Antonio Paolucci, il direttore delle raccolte pontificie, vestito blu e parlantina lieve, fa il gran cerimoniere, il pontefice laico dei «suoi» Musei Vaticani, scappa di dire. Gesti parchi, ma grande emozione. Si porta appresso il gruppone degli invitati, strappandolo alla canicola delle mura papali poco dopo le 19. Il refolo artificiale dell'aria condizionata gela il sudore delle signore in spolvero. Ma poi, che refrigerio alla prima stazione, il cortile della Pigna, col sole che già cala e le parole di Dante, Inferno XXXI, incise nel travertino: «La faccia sua mi pare lunga e grossa come la pigna di San Pietro a Roma». Paolucci ha accanto il vescovo suo «capo», monsignor Carlo Maria Viganò, neo segretario generale del Governatorato. E il vicesindaco di Roma con delega al Turismo, Mario Cutrufo. E Arnold Nesselrath, il direttore per l'arte medievale, moderna e bizantina. «Mai avvenuta un'apertura serale nei 503 anni di storia dei Vaticani - attacca - Un po' eravamo preoccupati, per questo debutto. Invece, un successo. E la soddisfazione di far riscoprire ai romani i capolavori che i papi hanno riunito qui per loro. Possono vederli di sera, dopo il lavoro, quando scema la pressione dei turisti intruppati nei tour. Ripeteremo l'apertura a settembre e a ottobre, lo splendido ottobre romano. Una volta a settimana, per andare poi a regime nel 2010. Anche così si restituisce ai cittadini l'orgoglio della loro appartenenza». Riprende il giro mentre s'allungano le ombre sui cervi, sui cani, sui leoni in marmo della Sala degli Animali. Una mandola e un flauto aleggiano note nel Cortile Ottagono. Ecco lo spasimo del Laocoonte, ecco in alto lo stemma di Clemente XIV, ecco l'Apollo del Belvedere: «Per Canova la scultura più bella del mondo», chiosa Paolucci e invita il vescovo a sfiorare la gamba del dio, il marmo «liscio come la pelle». «Geniale l'idea di raccogliere sotto il cielo, in un portico, i capolavori del passato», osserva Paolucci. Ancora un'invenzione espositiva: risale ai primi anni dell'Ottocento ed è il Braccio Nuovo. «L'intuizione di Pio VII Chiaramonti che realizzò qui il primo museo moderno. Fu lui a volere i lucernari, la luce zenitale che irrompe dall'alto». Adesso la luce scemap piano piano, e fa più scure le nicchie azzurrate, colora di rosa l'Augusto di Prima Porta, modula le masse del grande gruppo de Il Nilo. Il professor Paolucci continua a fare la guida, e attorno a lui si fermano, ad ascoltare, i visitatori più disparati, quelli in giacca e cravatta e quelli che si sono infilati sandali e jeans. Sono entrate 2.600 persone nei primi 40 minuti del nuovo orario, quantifica uno dei suoi segretari. Ma anche per chi non ha comprato il biglietto in rete, come una suora e un'anziana che si giustificano con l'inesperienza, il portone si apre. Una notte così Roma non l'aveva vista mai.

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