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L'Unità d'Italia finisce in pezzi proprio con la festa dell'anniversario

Il volantino della Lega

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Cosa c'è da celebrare nel 2011? Diamine, il centocinquantesimo anniversario dell'Unità nazionale. Scandalizzato, non senza ragione, Ernesto Galli della Loggia sul "Corriere della sera" di lunedì scorso ha criticato il modo in cui ci si appresta a ricordare l'evento, sciorinando l'impressionante elenco di finanziamenti di opere pubbliche stanziati per l'occasione che con essa, però, non c'entrano nulla. Tanto il governo Prodi che quello Berlusconi non si sono minimamente posti il problema di una ricorrenza che meritava ben altro e lo storico, nel rilevare che manca alla classe politica un'idea dell'Italia, malinconicamente conclude con l'immagine che del nostro Paese aveva il vecchio principe di Metternich: un'espressione geografica, niente di più, niente di meno. Non contento, Galli della Loggia ha preso poi carta e penna e si è dimesso dal Comitato nazionale del quale faceva parte e che avrebbe dovuto stilare un programma di manifestazioni adeguate alla ricorrenza. Coerentemente, condividendone l'amarezza, anche Marcello Veneziani ha fatto lo stesso considerando che ai politici sostanzialmente di ricordare l'Unità d'Italia non interessa poi molto viste le diserzioni alla prima ed unica riunione dei membri del Comitato stesso. L'organismo rischia di perdere nelle prossime ore anche il suo presidente: Carlo Azeglio Ciampi, infatti, ha fatto capire che davanti ad un pasticcio del genere lui non intende stare a guardare. Probabilmente, dunque, l'anniversario naufragherà miseramente come tutte le cose alle quali non si crede fino in fondo. Del resto, bisogna davvero celebrarla questa ricorrenza mancando i presupposti della celebrazione stessa? La domanda non è dettata da disfattismo di maniera e neppure dalla riduzione degli stanziamenti previsti inizialmente e men che meno dall'inerzia delle autorità di governo, bensì da una considerazione più generale politica ma anche culturale. Se, infatti, nessuno avverte l'urgenza di rinsaldare i vincoli unitari consegnatici dal Risorgimento è perché la questione dell'identità nazionale è stata smarrita dalle classi politiche, dalle istituzioni formative, dal mondo intellettuale. E, dunque, riconoscersi in una certa idea dell'Italia è sempre più difficile. Perciò, immaginare, come fa Galli della Loggia, progetti un po' più ambiziosi e coerenti con l'anniversario sarebbe giusto se essi fossero il coronamento di qualcosa che dovrebbe presupporli: il riconoscimento dell'unità d'Italia da parte di tutti ed il valore di un patriottismo che non si esaurisce in quello della Costituzione, ma nel sentimento di appartenenza ad una comunità intessuta di storie, tradizioni, passioni, ideali. Tutto questo latita da tempo immemorabile e certo non possono bastare alcune iniziative, per quanto egregie, a ridare smalto ad un'idea che andata sbiadendo sotto i colpi che le sono stati inferti dall'indifferenza dei ceti dominanti e dai maestrini del pensiero per i quali nominare la Patria, fino a qualche tempo fa, suonava come offesa al senso comune. Se poi si considera che oggi l'Italia è molto simile ad un'accozzaglia di potentati che se ne disputano le vesti, di cui la querelle tra nordisti e sudisti è la forma politica più evidente, si capisce bene che l'inattualità di una celebrazione per come la pensa Galli della Loggia, e per come anche noi la vorremmo, è incontestabile. E allora, invece di ipotizzare realizzazioni che per quanto utili lascerebbero pur sempre insoddisfatti, sarebbe bene che ci si impegnasse, soprattutto da parte dei governanti e dei parlamentari, a studiare le forme e i modi per restituire identità a un Paese che sembra brancolare nel buio alla ricerca di un destino per se stesso e per le generazioni che verranno. Insomma, se oggi, a centocinquant'anni dagli eventi che culminarono nella costruzione dello Stato nazionale, siamo ancora a chiederci come e perché ci trasciniamo appresso un destino barbaro di genti disunite, la risposta, per quanto amara, è una sola: l'Italia è stata e continua ad essere affetta dalla prevalenza delle ragioni clientelari sul bene comune; dai particolarismi localistici che non ci fanno intendere pienamente quale può essere il nostro ruolo nel mondo; dagli egoismi personalistici sovrapposti al principio di solidarietà che pure fa parte della nostra cultura e del nostro carattere. L'Italia, insomma, è da reinventare. Poi, magari, la si potrà celebrare.

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