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"Gli Oscar, Di Caprio, Fellini la nostra seconda vita sul set"

dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo

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Formano la coppia più solida ed apprezzata del nostro cinema. I premi Oscar Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, ad Ischia per il Global Film Fest di Pascal Vicedomini, raccontano l'ultima esperienza sul set di «Shutter Island» di Martin Scorsese, ambientato negli anni Cinquanta, con Leonardo DiCaprio, che arriverà nelle sale americane il 2 ottobre. Una collaborazione, quella con Scorsese nata nel 1993 con «L'età dell'innocenza» e che ha poi ha portato alla realizzazione di «Gangs of New York» e «The Aviator». Ferretti, può anticiparci qualcosa del film? Shutter Island, tratto dal libro di Dennis Lehane. Racconta la storia di due poliziotti che vanno ad indagare sulla sparizione di una paziente di un manicomio criminale di una piccola isola al largo del Massachussets. Abbiamo girato vicino Boston, ricreando sia gli interni che gli esterni. Quanto tempo avete impiegato per la realizzazione degli ambienti? Il film ha richiesto un lavoro di ricostruzione totale. Avevamo cominciato un po' in ritardo, con il timore, peraltro, di incappare in uno sciopero degli attori annunciato in corso d'opera. Quando, all'inizio, Scorsese ci chiese se avremmo fatto in tempo, rispondemmo di sì pur sapendo che non sarebbe stato semplice. L'incoscienza, però, fa parte del nostro mestiere e alla fine abbiamo portato a casa un ottimo risultato. DiCaprio è straordinario. Quanto per l'arredamento? La decorazione degli ambienti - è la Lo Schiavo che risponde - ha richiesto grande documentazione su vecchie e rare foto. Quel tipo di ospedali, chiusi ormai quasi tutti dagli anni Sessanta, sono rimasti in uno stato di assoluto abbandono. Sembravano caserme, in cui i malati venivano trattati come detenuti. Scorsese dà sempre importanza ai dettagli, ha messo a nostra disposizione documentari fuori commercio. Come nasce la vostra collaborazione? Nel 1980, con La Pelle di Liliana Cavani. Dante ed io c'eravamo conosciuti qualche anno prima in vacanza. All'epoca, mi occupavo di interni. Amando il cinema, ho voluto provare. Ho iniziato dall'ultimo gradino e mi sono appassionata. Non sono più tornata indietro. Quale premio ricordate con particolare emozione? I due Oscar, arrivati dopo molte nomination (ed è Ferretti a rispondere, d'impeto). Nella nostra carriera ne abbiamo avute 16 di cui nove io e sette Francesca. Ormai non ci credevo più. Ricordo che la penultima volta, con The Aviator, non volevo nemmeno andare a Los Angeles. Ogni volta che rientravamo in Italia senza la statuetta sembrava quasi ci dovessimo giustificare nonostante in America già solo entrare in cinquina sia importantissimo. Francesca però ha insistito: diceva che, essendo tutti nominati, dovevamo fare squadra con Martin ed essere tutti presenti. Aveva ragione! E la seconda volta, con Sweeney Todd? Quella davvero fu totalmente inaspettata. Stavamo girando Shutter Island a Boston. Martin doveva rientrare a Los Angeles proprio per consegnare un Oscar. Partimmo con lui. L'indomani Francesca ed io andammo al Kodak Theatre, solo per il piacere di andare. Eravamo convinti che, nella nostra categoria, avrebbe vinto Il petroliere. E invece... Quando son venuti fuori i nostri nomi, per la sorpresa avevo dimenticato tutto. Le parole non uscivano. Com'è Scorsese? Martin è un genio, sul lavoro lascia molta libertà. All'inizio, quando siamo ancora in una fase embrionale, ci parla di quel che vuol raccontare. Vediamo con lui altre pellicole dalle quali coglie le atmosfere. Così facendo, costruisce una specie di puzzle in grado di indirizzare la nostra fantasia nella direzione che vuole lui. E Tim Burton? Lavorare con Burton è straordinario. È un visionario, sul set niente deve essere banale. Ma ci lascia molta libertà.  Perché oggi è tanto difficile lavorare in Italia e girare a Cinecittà? Oggi il cinema in Italia vive una sorta di neo neo-realismo. Si trovano location già fatte, si gira e si va via. Andare a Cinecittà significa ricostruire tutto e a quanto pare si è persa un po' l'idea del cinema tradizionale fatto in quei posti dove il cinema è nato. Gli americani vengono a girare nel nostro Paese quando la città di Roma è protagonista. In questo momento c'è un discorso di crisi generale, il dollaro è molto basso rispetto all'euro. Cosa dire? Augurarsi che vada meglio con i tax shelter, che si risova il problema del Fus e che Cinecittà torni al vecchio splendore. Come diceva Fellini, Cinecittà è mia madre, mio padre, mia zia, mia sorella. Per noi è tutto.

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