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Cento anni fa la trasvolata della Manica

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Grandi celebrazioni in questi giorni per il quarantennale dello sbarco sulla Luna. Ma l'avventura spaziale inizia da lontano, con le imprese di chi, con caparbietà personale e pagando di tasca propria, riuscì a convincere il mondo che le «macchine volanti» non erano solo giocattoli. Il 25 luglio del 1909, cento anni fa, il pioniere del volo Louis Blériot con un velivolo da lui progettato e costruito attraversò La Manica, creando le basi della moderna aeronautica.   L'aereo dell'ingegnere francese nato a Cambrai era un «mostro» di legno, metallo e caucciù, il suo «cuore» un motore preso in prestito da una motocicletta italiana. L'aereo si chiama Blériot XI. Solo sessant'anni lo separano dal «Lem», il veicolo che si è posato sulla superficie della Luna. Sembrano oggetti di ere diverse, eppure molti uomini li videro entrambi. Blériot alla fine dell'Ottocento si laureò in ingegneria, in un periodo nel quale il settore più importante era quello del vapore. Ma a lui del vapore importava poco. Era invece ossessionato (come lo erano anche i fratelli Wright) dalle esperienze di un ingegnere tedesco specializzato, lui sì, in caldaie e vapore, ma con l'hobby degli aquiloni. Karl Wilhelm Otto Lilienthal era convinto che il futuro del volo non era nelle mongolfiere, più leggere dell'aria, che nell'Ottocento erano già abbastanza diffuse, ma in qualcosa che volava planando. Come Leonardo da Vinci fece studi teorici sugli uccelli, convincendosi che il volo di oggetti ad ala fissa, cioè il volo planato, era possibile. Ma a Lilienthal, che doveva avere una bella testa dura da ingegnere tedesco dell'Ottocento, i semplici studi non bastavano. Iniziò a costruire i suoi aquiloni plananti cioè degli alianti e, lanciandosi lui stesso da collinette e palazzi, fu in grado di percorrere, a bassa quota, anche lunghe distanze. Otto Lilienthal morì a quarantotto anni, nel 1896, precipitando al suolo durante il collaudo di un suo prototipo. Le ultime parole furono: «I sacrifici devono essere accettati». E con il suo sacrificio Lilienthal dimostrò che volare con «il più pesante dell'aria» era possibile. Di questa lezione fecero tesoro i fratelli statunitensi Wilbur e Orville Wright, costruttori di biciclette che, nel 1903, riuscirono a far decollare il loro «Kitty Hawk Flyer», il primo aereo a motore della Storia, chiamato così dal nome della spiaggia della Carolina del Nord dove avvenne il volo. L'aereo restò in aria per soli dodici secondi. A rendere più lunghi i voli ci avrebbero pensato nel Vecchio Continente. Evidentemente, scarseggiavano le notizie così il quotidiano londinese «Daily Mail», un po' per avere qualcosa da scrivere e anche per farsi pubblicità, dopo il volo dei fratelli Wright mise in palio mille sterline per chi fosse riuscito, su un aereo a motore, ad attraversare per primo la Manica, sperando anche, forse, che il trasvolatore partisse da Dover e arrivasse sul Continente. Che fosse, insomma, un suddito di Sua Maestà. Fu invece un cittadino della Terza Repubblica ad avere la meglio. Blériot fu il vero inventore dell'aeroplano moderno, basta guardare il suo Blériot XI per capirlo. I fratelli Wright nel creare il loro velivolo scelsero alcune soluzioni destinate poi ad essere abbandonate: le due ali sovrapposte, le due eliche azionate da cinghie, un alettone anteriore per manovrare. L'ingegner Blériot preferì puntare sul monoplano con il piano di coda e una sola elica direttamente collegata all'albero motore. È l'aereo moderno. Per il propulsore Blériot volle scegliere un motore modesto, ma eccezionalmente leggero e robusto: il tre cilindri per motociclette realizzato dall'italiano Alessandro Anzani. Con il suo monoplano leggero e affidabile Blériot «divorò» la manica in trentadue minuti. Una curiosità: i solerti doganieri di Dover, impreparati all'arrivo di quello strano oggetto volante, si sentirono comunque in dovere di registrarlo. C'erano, ovviamente, solo i moduli prestampati per l'arrivo delle navi. Usarono uno di quelli. Non trovarono di meglio da fare di fronte allo storico evento.

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