La teoria de «Il secco e l'umido» secondo il nazista Degrelle
MarioBernardi Guardi Fascinazione nazi. Morbosa, ambigua. E inquietante. Il cinema ci gioca da sempre. Con voluttà celebrativa come nel «Trionfo della volontà» di Leni Riefenstahl che nel 1936 scolpisce in bianco e nero corpi, miti e riti hitleriani: la Germania ha trovato un destino e Leni lo rappresenta plasticamente. E se poi il destino tedesco si inabissa in una fosca Götterdämmerung con tutti i suoi dèmoni, Luchino Visconti è pronto a fissare volti e scenari della dissoluzione a colpi di compiacenze estetizzanti: quarant'anni fa, «La caduta degli dèi». Ma c'è anche il biondazzurro ragazzo della Hitlerjugend che in «Cabaret» (1972) canta «Il domani appartiene a noi», seminando manciate di suggestioni; e c'è l'eros contorto, ma intrigante, del «Portiere di notte» (1974). La letteratura non poteva mancare all'appuntamento con swastika e dintorni, e doveva farlo alla grande, creando scompiglio, suscitando scandalo. Così come è avvenuto l'anno scorso con «Le benevole» di Jonathan Littel (Einaudi): un romanzo in cui il protagonista, l'ufficiale delle SS Maximilien Aue, ha, insieme, i tratti del «mostro» al di là del bene e del male e quelli dell'uomo attraente, intellettuale, sia pure operante all'ombra della croce uncinata. Storicizzare il nazismo significa anche psicanalizzare i nazisti? E psicanalizzare i nazisti significa armarsi degli strumenti della semiologia e dunque studiarne la «lingua»? E cioè mettere a fuoco una concezione del mondo, un'epica e un'epopea, così come «si esprimono» nella quotidiana rappresentazione di sé, nei gesti, nei comportamenti, nelle parole e nei messaggi? Littel, che nel romanzo aveva evocato non solo il «superuomo» ma anche l'«umano, troppo umano», in questo saggio si impegna a decifrare un «codice». E stavolta ne «Il secco e l'umido» (Einaudi, pp.120) il suo «eroe» non lo inventa, visto che la storia gliene offre uno in carne e ossa. Si tratta di Léon Degrelle, una vera e propria icona del fascismo europeo tra le due guerre e successivamente del movimentismo neofascista. Cattolico, monarchico, fondatore del movimento parafascista «Rex», Degrelle (a lui si ispirò il disegnatore Hergé per creare il personaggio di Tintin) divenne allo scoppio della guerra un militante del nuovo ordine hitleriano, combatté a fianco dei nazisti in Russia alla testa della legione «Wallonie» e dopo il 1945 si rifugiò in Spagna, dove morì nel 1994. Bene, dall'esame e dalla decrittazione del libro di Degrelle, «La campagne de Russie», Littel, puntigliosamente lavorando sul vocabolario, estrae due categorie lessicali/concettuali che stabiliscono l'identità fascista e ciò che ad essa si oppone: il secco e l'umido. In ciò che è secco, eretto, duro, nitido, rigido, asciutto, integro, virile, vigoroso, Littel coglie quella che è, secondo Degrelle, l'«immagine» del fascista, il suo «ordine». Dall'altra parte, stanno l'antifascismo e il caos, e cioè l'umido, il molle, il flaccido, l'informe, il sudicio, il fangoso, il vischioso, il fetido, il putrido. L'«immensa cloaca» sovietica che inghiottirà i semidei.