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Pippo Delbono, Pensa di essere un ribelle? «Forse.

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Unasorella, Giusy, medico e Katia, commercialista. Insomma una famiglia normale. Io ribelle in una Liguria che amavo tanto ed in un luogo chiuso con una particolarità: il mare di fronte che mi ha sempre indotto alla fuga». E da ragazzo? «Ho frequentato il Liceo Scientifico, ho fatto il chierichetto, lo scout, sempre con tanto malessere». E poi? «Incontro a 16 anni Vittorio, la ribellione aumenta, il sodalizio la favorisce. Qualche gesto insano e l'uso di sostanze». E si è salvato? «Il teatro mi ha salvato. A Savona ho frequentato una scuola di teatro, ho incontrato Bepe Robleto, fuggito dall'Argentina. Vittorio, il mio amico di sempre, muore, un grande dolore, la mia fuga continua in Danimarca e il teatro mi fa sempre compagnia. Il teatro occidentale ed il teatro orientale». E l'Italia? «Torno in Italia e incomincio a lavorare sodo. Metto in scena "Il tempo degli assassini", racconto la morte per overdose da una parte e dall'altra del mondo. Uno spettacolo ammirato da Pina Bauche». È l'incontro che cambia la sua vita? «L'incontro con la Bauche avviene in un momento particolare della mia vita. Due cicatrici all'occhio mi facevano soffrire tanto. È un incontro importantissimo, mi cambia per sempre il modo di fare teatro. Poco testo, spesso gridato e movimento espressivo vicino alla danza». Incomincia a fare l'attore... «Nel '96 un'altra grande crisi: ho problemi di salute, un dolore alle gambe, il mio corpo infiammato. Ho preparato uno spettacolo: "La rabbia", dedicato a Pasolini. Mi impegno in un laboratorio nel manicomio di Aversa. C'è Bobo, lì rinchiuso da quarantacinque anni. Bobo verrà con me ed entra stabilmente nella mia compagnia». Oggi è felice? «Amo il lavoro. Faccio l'attore e amo il teatro. Cerco di trattare temi sociali che angosciano la nostra società. Ho scritto un libro, "Racconti di giugno", una libro-biografia che è stato ed è uno spettacolo teatrale».

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