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Lorenzo Tozzi Spoleto Uno specialista di Puccini come Mosco Carner riteneva il Gianni Schicchi, terza opera del Trittico (1918), come la più italiana delle opere pucciniane.

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ASpoleto, ad inaugurare il Festival 2009, ci voleva la ventata di genialità naïve di Woody Allen, al suo debutto nella regia lirica, per riscrivere l'opera pucciniana in termini di più recente attualità. Sul fondo campeggia sempre S. Maria del Fiore con il campanile di Giotto e la cupola brunelleschiana, ma la burla a danno degli eredi di casa Donati (forse parenti della moglie di Dante, che se ne ricordò nell'Inferno) si svolge nel secondo dopoguerra in un'atmosfera da cinema neorealista in bianco e nero e soprattutto con movenze cinematografiche da Commedia all'Italiana, tanto che la simpatica canaglia di Gianni Schicchi sembra parente prossimo di certi ruoli alla Mastroianni. Non bisogna fare però grandi sforzi per entrare in commedia, auspici l'eccellente direzione musicale di James Colon applaudito dal pubblico e da Placido Domingo in sala, ma anche la bravura vocale ed attorale del variegato cast vocale, in cui svettava lo scanzonato Schicchi in doppiopetto gessato di Thomas Allen, la trepida Lauretta della Tatulescu, il generoso Rinuccio di Stephen Costello. Una teoria di panni stesi in alto e i costumi rimandano ad una famiglia meridionale (siciliana o napoletana) e molti dettagli rinviano alle gag di uno stereotipo cinema d'antan. Il tutto introdotto da umoristici titoli di testa e da un video in cui Woody Allan si scusa della libertà e dell'assenza a Spoleto, chiedendo la clemenza del pubblico, che alla fine ha invece decretato una trionfale accoglienza.

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