«Montalbano schiavo della Rai»
Il 48enne Luca Zingaretti, pur essendo un «fautore della lentezza perché permette di capire meglio le cose», lavora però di continuo. Romano di nascita ma siciliano per adozione artistica, grazie al suo celebre personaggio televisivo, il Commissario Montalbano, Zingaretti sta girando tre film e ha appena finito di curare il suo festival «Hai visto mai?», giunto alla quarta edizione e incentrato su documentari «con temi sociali e di costume». Zingaretti, ma che fine ha fatto Montalbano, il suo personaggio ideato dallo scrittore Camilleri, il quale, proprio l'altro ieri, ha svelato che vorrebbe «buttare a mare» il noto commissario? «Dal 1999 ad oggi ho girato ben 18 film nei panni del poliziotto siciliano scaturito dalla penna di Andrea Camilleri. Se ci saranno altri episodi non lo so, perché per dire sì o no le proposte devono fartele. E dalla Rai finora non è arrivata alcuna notizia. Tutto tace. Ma io sono pronto. Quella volta, anni fa, sbagliai a dire basta. Ci ho ripensato dopo che era una stupidaggine e non certo per una questione di soldi. Ormai Montalbano è per me come un vecchio amico, la Sicilia mi manca e con Sironi ci capiamo al volo. So che ormai esistono persino dei tour per visitare i luoghi di Montalbano. Forse, l'unica cosa da cambiare riguarda le gag: stanno diventando un po' troppo meccaniche e ripetitive». Ma intanto al cinema per lei fioccano proposte e ruoli... «Se una cosa mi piace non guardo al numero delle pose. Prova ne è la particina in "Noi credevamo" di Mario Martone, dove interpreto Francesco Crispi, parlamentare della sinistra dal 1861, poi repubblicano mazziniano e infine sostenitore della monarchia sabauda. È una bella storia, peccato che il Risorgimento a scuola si studia poco e male. Poi sarò protagonista accanto a Christian De Sica e Laura Morante in "Il figlio più piccolo" di Pupi Avati: una vicenda di cinici finanzieri d'assalto, coinvolti in giri di soldi, scatole vuote e ingordigia di potere. Christian è un immobiliarista in crisi e io sono un suo collega, una sorta di Iago. Infine, c'è il film di Daniele Luchetti, "La vita non la ferma nessuno", con Elio Germano e Raoul Bova: qui sono uno che fa paradossali analisi sullo stato dell'economia mondiale e centra sempre il bersaglio». Preferisce lavorare al cinema o in tv? «Leggo tanti copioni, vaglio molte proposte. In genere, penso sia meglio fare buona tv popolare che cattivo cinema d'autore. Sono un fautore della lentezza: siamo bombardati da migliaia di notizie in tempo reale, ci sembra di sapere tutto, invece non approfondiamo mai nulla».