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Attilio Bertolucci, poeta anche del cinema

Attilio Bertolucci

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Inaugurando tre anni fa, insieme a Giancarlo Pontiggia, una collana di saggistica per l'editore Moretti & Vitali, e intitolandola "I volti di Hermes", intendevo proporre una linea di libri esenti dalle strettoie della critica accademica o "scientifica". Malgrado il tracollo delle mode strutturaliste, ancor oggi troppo spesso i critici si trascinano in approcci testuali sterili e opachi, dimenticando che ogni lavoro saggistico autenticamente illuminante è il frutto di uno sguardo non solo rigoroso ma anche appassionato, non solo puntuale ma innervato dalla fantasia, dall'emozione, dalla capacità di viaggiare attraverso il mistero della creazione.   Ai sei libri finora pubblicati in questa collana se ne aggiunge ora uno di portata affatto speciale: "Riflessi da un paradiso - Scritti sul cinema" di Attilio Bertolucci (pp. 512, € 25), un volume ottimamente curato e introdotto da Gabriella Palli Baroni. Per nessuno dei più grandi poeti del Novecento, non solo in Italia, il cinema ha tanto contato quanto per Attilio Bertolucci: non è certo un caso se questa sua passione sia stata fatta propria dai figli Bernardo e Giuseppe, diventando il filo conduttore del loro destino. Per Attilio il momento della scoperta del cinema si colloca nella seconda metà degli anni Venti, quando gli fu possibile assistere per la prima volta alla proiezione di opere firmate da registi quali Chaplin, Dreyer, Stroheim, Hawks e Murnau. Essendo, allora, il cinema muto, la pura forza delle immagini in movimento aveva qualcosa delle rivelazioni assolute, tali da cambiare radicalmente il modo di vedere il mondo A quell'incontro Bertolucci sarebbe rimasto sempre fedele. Nella sua poesia il "racconto" della vita attraverso lo scorrere di volti e luoghi nel flusso del tempo, e l'improvviso apparire di figure epifaniche, ha spesso un chiaro imprinting cinematografico, mentre nella sua opera critica spiccano gli innumerevoli articoli dedicati a quei film di cui, per anni e anni, egli si sarebbe nutrito come di un indispensabile pane e vino quotidiano. Di questo lavoro di esplorazione "Riflessi da un paradiso" raccoglie la parte più sostanziosa, frutto delle collaborazioni del poeta, fra il '45 e il '53, alla "Gazzetta di Parma" e a "Giovedì", il settimanale romano diretto da Giancarlo Vigorelli. Sia gli schizzi composti al volo, all'impromptu, per la prima testata, sia gli scritti più ampi e meditati, di respiro saggistico, concepiti per la seconda, sono segnati da uno stile inconfondibile: colui che parla non è solo uno di quei rarissimi, autentici "cinéphiles" la cui razza è in via di estinzione, ma insieme un maestro capace, con la sua voce calda, estrosa e arguta, lucidissima e a tratti impertinente, di incantarci e insieme educarci ora aiutandoci a cogliere i momenti di poesia nei film più disparati (gialli, noir, western, comici, neorealisti, di costume...), ora additandoci i rischi e le cadute del cinema commerciale, lacrimoso o ideologico. Ricco di penetranti spunti interpretativi e di tocchi inventivi e umoreschi, "Riflessi da un paradiso" non è solo un vero e proprio repertorio enciclopedico ma un libro da leggere anzitutto come un bellissimo romanzo d'avventure, come un inno impareggiabile alla magia dei sogni.

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