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28 giugno 1940, ore 17.30.

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L'Italiaè entrata in guerra da diciotto giorni. Il campo di aviazione T. 2 di Tobruk, Africa Settentrionale, è sotto attacco dei bombardieri della Royal Air Force, che hanno le loro basi nel vicinissimo Egitto. L'incursione avviene di sorpresa, da direzione nord-est. Sono tre pattuglie di bimotori Bristol Blenheim, nove velivoli in tutto (altre testimonianze parlano di 12 velivoli) che stendono un tappeto di bombe che danneggiano edifici, incendiano carburante, distruggono al suolo alcuni caccia e fanno vittime. La contraerea non apre il fuoco, se non tardivamente e ad azione compiuta. Gli attaccanti si allontanano indisturbati, contro sole. Subito dopo, dalla stessa direzione ed alla stessa quota, compaiono altre due sagome di velivoli bombardieri che in formazione stretta dirigono su T. 2. La contraerea questa volta non si fa sorprendere, ed apre disordinatamente il fuoco da tutte le postazioni. Da quelle di nave S. Giorgio, da tempo immobilizzata in rada, a quelle del Regio Esercito, dislocate nei pressi dell'aeroporto, sui costoni circostanti. Mentre il secondo dei due velivoli, per sfuggire al fuoco e farsi riconoscere dai marinai, picchia verso il centro della rada, il numero uno si inclina, lascia vedere dei bagliori a destra, sull'ala e la fusoliera, e precipita in fiamme sul costone. Brucerà sino a sera, senza permettere ai soccorsi, ormai inutili, di avvicinarsi. Muore così il Maresciallo dell'Aria Italo Balbo, pilota del velivolo, nominato governatore della Tripolitania e Cirenaica, poi Libia, dal 1° gennaio 1934. Stessa sorte toccava agli altri membri dell'equipaggio, il maggiore Frailich, il capitano Capannini e il maresciallo Berti, e ai passeggeri, il giornalista Nello Quilici, il tenente pilota Cino Florio, il tenente degli alpini Lino Balbo, il generale Caretti, federale di Tripoli, e il maggiore Brunelli. I nomi dell'equipaggio, assieme a tanti altri - troppi - sono incisi sulle pareti dell'ingresso dei Tre Archi di Palazzo Aeronautica. Due giorni dopo gli aviatori della Royal Air Force puntavano ancora su Tobruk, questa volta senza sganciare bombe. Lanciavano invece una scatola di latta, avvolta da un nastro tricolore, che conteneva un messaggio indirizzato al generale Porro, comandante della Regia Aeronautica della Libia (era il pilota del secondo velivolo coinvolto nella tragica vicenda). Era firmato dall'Air Marshal Arthur Longmore, comandante in capo della R.A.F. in Medio-Oriente: «Le forze aeree britanniche esprimono le loro sincere condoglianze per la morte del Maresciallo Balbo, un grande comandante e un valoroso aviatore, che io conoscevo personalmente e che il destino ha fatto sì che si trovasse dalla parte avversa». Figura amata, dileggiata, discussa, Italo Balbo fu, scrive Emilio Gentile, figlio emblematico del secolo. La sua cultura e mentalità erano impregnate delle credenze e dei miti del suo tempo, fatti propri dalla generazione rivoluzionaria, interventista e combattente che aveva dato origine al fascismo. Alpino durante la grande guerra, era stato ferito e decorato al valore per azioni compiute come sottotenente degli Arditi. Valori poi incarnati nella sua esperienza politica, che ben presto lo trasformarono in eroe rappresentativo del primo fascismo. Accusato a più riprese di essere tra i responsabili dell'assassinio di don Minzoni, fu scagionato da una sentenza del tribunale penale di Roma nel dicembre 1924 e da quella di un processo celebrato in epoca non sospetta - era il 1947 - dalla corte di assise di Ferra. Queste due sentenze sono state raramente citate, lasciando in questo dopoguerra attorno alla sua figura un alone negativo che solo la storiografia più recente ha tentato di dissipare, riuscendoci in buona misura. In ogni caso, noi qui stiamo ricordando la figura di Italo Balbo aviatore. È questa che ci interessa, perché ha lasciato, purtroppo più all'estero che da noi, una memoria che ancora si rinnova. In Italia lo ricordano con ammirazione l'Aeronautica Militare e l'Aviazione Civile, delle quali è stato tra le due guerre il primo architetto. Questo, oggi, gli è riconosciuto dagli storici di qual si voglia parte politica e nazionalità (Santoro, Curami, Gentile, Rochat, Falessi, Pelliccia, l'americano Brian Sullivan, il britannico John Gooch). Nella personalità di Balbo si accoppiavano felicemente tanto le forme della cultura della modernità e della tecnica quanto le più alte doti di capacità decisionale, organizzativa, tecnologica e persino imprenditoriale. È stato, in altre parole, il primo esempio di comandante-manager nelle forze armate. Il mito di Balbo aviatore - scrive ancora Emilio Gentile - fu legato alle trasvolate atlantiche di massa compiute nel 1931 e nel 1933. Il successo di queste imprese dilatò oltre i confini italiani la sua leggenda. Favorevole o contraria al regime fascista, la stampa di tutto il mondo fu unanime nelle celebrazioni, assimilando il trasvolatore a Ulisse, Giasone, Colombo e Vespucci. Oggi, lo paragoneremmo ai pionieri dello Spazio. Dalle esperienze delle crociere atlantiche nacque l'Aviazione commerciale italiana. Pochi sanno che con Atto del Congresso del 16 maggio 1935, il presidente Roosevelt conferiva a Balbo la "Distinguished Flying Cross", la più alta decorazione al merito aeronautico degli Stati Uniti, "in riconoscimento del suo volo di andata e ritorno con 24 idrovolanti in formazione, che fu un evento di rilevanza nazionale, un grande successo aeronautico e un segno delle ottime relazioni tra Italia e Stati Uniti". Questi documenti, assieme ad altri cimeli, sono stati donati dalla famiglia all'Aeronautica Militare, che da poco li conserva in una teca del Museo di Vigna di Valle, accessibile al pubblico. Ma in Patria dopo i trionfi iniziarono le amarezze. L'improvvisa rimozione di Balbo da Ministro dell'Aeronautica per l'invio a governare la Libia, operata dal regime, fu considerata dall'opinione pubblica un'ingiusta punizione nei confronti di un fascista dotato di uno spirito indipendente. Anche questo, assieme all'opera poi svolta in Libia, contribuì ad alimentare il suo mito fino al tragico epilogo. E oltre.

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