Lo schiaffo di San Siro alla Capitale
Sabato notte, nei camerini dell'Olimpico, Renato Zero è sbottato: «Peccato per chi non è venuto ad ascoltarci. Un concerto così forse non si vedrà mai più». Praticamente una resa: con gli incassi dello show si sperava di ricostruire la facoltà di Scienze dell'Aquila, mentre quei 450mila euro lordi, ha notato il rettore Di Iorio, basteranno «al massimo per rifare l'atrio». La desolante visione dello stadio semivuoto di fronte a quel cast di stelle pop (di solito ne basta una per riempirlo) è stata una ferita che Roma si è inflitta sulla propria pelle. Ancor più bruciante di fronte al successo di pubblico dell'analogo evento di Milano, 24 ore più tardi, dove la macchina da guerra voluta da Laura Pausini ha saputo oliare gli ingranaggi decisivi: un network di radio nazionali a fare da grancassa fino alla diretta, l'appoggio del ministro Gelmini, il patrocinio del Comune, l'intenso lavoro di autopromozione. Un circuito virtuoso che la Capitale non è riuscita a emulare: se i cantanti hanno fatto (gratis) il loro dovere, a provocare il black out è stato qualcosa a metà fra un errore di marketing, la scarsa sponsorizzazione politica e la pretesa che «tanto i romani verranno comunque». Un'indolenza condivisa, il vizio antico di contare nel «cuore di Roma» quando si dovrebbe garantire managerialità ed efficienza, per evitare figuracce nazionali. E per non generare il sospetto che, a cento chilometri dal terremoto, c'è una Capitale che gira a vuoto o resta indifferente, mentre tutti si rimboccano le maniche.