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La sacra Valle dei Templi

La Valle dei Templi

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{{IMG_SX}}Ci sono sogni a cielo aperto e la Valle dei Templi è uno di questi. Ma è un sogno concreto, storia che si tocca, pietra che respiri, il tempo mai perduto che balza in pieno sole, e gli dèi che sorridono, le colonne, i santuari, i marmi, i bronzi. Tutto questo è eternità, è il passato che, per dirla con Borges, ha le sembianze del "sempre", e se ci credi devi difenderlo con nuovo alimento vitale. Perché la bellezza è, per l'appunto, patrimonio dell'umanità. Con tanto di "imprimatur" UNESCO. E proprio l'Unesco-Italia, presieduto da Gianni Pugliesi, e la casa editrice Il Cigno hanno coinvolto Christiès, il Pio Sodalizio dei Piceni e le competenti autorità in un progetto vòlto a rialzare un gigante in pietra calcarea del IV secolo. Si tratta di uno dei Telamoni dell'Olympeion: novanta frammenti a disposizione gli restituiranno il corpo, con tutte le suggestioni che da esso si sprigionano. Ma suggestioni ed emozioni, fuse in una potente miscela seduttiva, sono sostanza identitaria di questa Valle dei Templi che il linguaggio della ufficialità definisce, appropriatamente ma un po' freddamente, "sito archeologico", ma che sarebbe meglio chiamare "spazio sacro". Nei termini impiegati dallo storico delle religioni Mircea Eliade, che coniugano il mito, il rito, il mistero, e il loro comporsi in un paesaggio, con precise scansioni, con una speciale "geografia" dell'immagine. Quella di cui Luigi Pirandello, nato nella frazione Caos di Porto Empedocle, a pochi chilometri da Agrigento, percepiva il segno fatale, anticipando il legame caos-caso-causa che in Borges è un vero e proprio "percorso di significato". Quella a cui ritornava, come a una memoria feconda di consolazioni, Salvatore Quasimodo, quando, lontano dalla Sicilia, ne vagheggiava forme, suoni, profumi. Quella che oggi, nella Vigata che Andrea Camilleri ha "inventato" pensando a Porto Empedocle, è la "terra mare" delle incursioni ispettive, ma anche affettive, del siculissimo commissario Montalbano. Immagini, presenze letterarie e poetiche, tra le pietre, i verdi e gli azzurri. E c'è il "presente" storico-mitico, dalla fondazione della Città, Akrágas, da parte di coloni rodio-ciproti di Gela intorno al 580 a.C., alla sequenza di fioriture e splendori culturali e civili, e poi di tirannie, distruzioni e devastazioni, fino al dominio cartaginese e poi alla conquista e alla "pax" romane. Quando la Sicilia, sono parole di Catone, diventa «il granaio di Roma, la balia al cui seno si nutre il popolo romano». E c'è qualcuno che a quel seno si attacca con soverchia avidità come il pretore Verre, duramente attaccato da Cicerone per le sue malversazioni e i suoi furti "artistici" (come quello della statua di Apollo sottratta al tempio di Asclepio; non riuscì invece a impadronirsi della statua di Eracle, per la fiera reazione degli Agrigentini). Seguono i fasti imperali, la decadenza, la stagione di Bisanzio e l'avvicendarsi in Sicilia dei vari dominatori, dagli Arabi ai Normanni, dagli Svevi agli Angioini, agli Aragonesi. Tutto accoglie l'isola, tutto in sé risolve e assorbe, rielaborando culture nordiche e mediterranee, l'Oriente e l'Occidente. Oggi, in un Mediterraneo più che mai ricco di conflitti e di scontri, la Valle dei Templi, "patrimonio dell'umanità", è un'icona da potenziare. Nel segno dell'identità, ma anche della sintesi. Come identitario e sintetico è lo "spazio sacro" che, modellato in onore degli dèi, racconta anche - nei templi di Era e di Eracle, di Zeus Olimpico e della Concordia, dei Dioscuri, di Vulcano, di Asclepio - la grande avventura dell'uomo, e dunque la pace e la guerra, la forza del corpo e quella dello spirito, la forza e la solidarietà, la sapienza che investiga e la memoria che custodisce. Sette templi, sette testimonianze nel nitore dello stile dorico, che hanno subito i più svariati oltraggi dal tempo e dagli uomini, e che varie istituzioni si impegnano a difendere con lodevoli iniziative. Ma se la Valle dei Templi appartiene a uno "spazio sacro", è ben più che un reperto museale sia pure collocato in un affascinante scenario naturale: è, deve essere, e non retoricamente, vita. Memoria come futuro, nell'anno di Marinetti.

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