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"L'Italia ha perso etica e cultura"

Christian De Sica

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Se avesse avuto bisogno di un'ulteriore conferma del suo successo Christian De Sica l'ha avuta. E stavolta non con un film. Ma con il libro «Figlio di papà» (Ed. Mondadori) e 50 mila copie vendute. È una sorta di autobiografia che racconta di suo padre, il premio Oscar Vittorio De Sica, di sua madre, la bella attrice spagnola Maria Mercader e dei tanti incontri importanti avuti. A cominciare da quello con Luchino Visconti e per finire a quello con il suo partner cinematografico di qualche anno fa, Massimo Boldi. E fioccano i riconoscimenti: ieri, De Sica ha ricevuto a Fiano Romano il premio della rassegna Lo schermo è Donna; il 26 ne riceverà un altro a Comacchio e il 27 gli verrà consegnato un Nastro d'argento a Taormina proprio per il suo libro. De Sica, cosa ha di speciale la sua autobiografia? «Sono felice che al pubblico siano piaciuti i miei racconti, quelli della mia vita. Non sono uno scrittore e ho raccontato la storia come fosse un varietà televisivo. Sono figlio di un uomo anziano, papà, era del 1901 ed è morto quando io avevo 23 anni. Così, ho conosciuto generazioni lontane tra loro, da Chaplin a Rossellini e fino a Jerry Calà. Papà è morto tra le mie braccia il 13 novembre 1974 in un ospedale vicino Parigi: quando stava per morire non aveva quasi più voce, ma mi disse: "Christian, stai vicino a mamma e soprattutto, guarda che bel culo che c'ha quell'infermiera". Era fatto così». Ricorda qualche aneddoto della sua infanzia? «Tanti. Una volta andammo da Visconti. Io e mio fratello Manuel eravamo grassi, portavamo i calzoni corti sopra i nostri sederoni. Una sera andammo a mangiare a casa di Luchino, partirono 25 bottiglie di vino e papà urlò come un pazzo: "Se quel pederasta di Visconti fa un'avance a voi, io lo prendo a schiaffi davanti a tutti!". Il senso dell'umorismo e la simpatia non abbandonavano mai papà. Quando morì mi trovai senza soldi e con un personaggio da inventare». Ora debutterà nel suo primo ruolo drammatico nel film di Pupi Avati «Il figlio più piccolo»... «Abbiamo appena finito le riprese. Ma avevo già interpretato un ruolo drammatico in "Medea di Portamedina" di Schivazappa, io facevo Giasone a fianco di Giuliana De Sio. Era il 1982. Poi non mi è capitata più l'occasione. Stavolta, accanto a Luca Zingaretti, interpreto il ruolo di un mascalzone e mia moglie è Laura Morante. È un uomo che rovina la famiglia e i suoi figli in modo squallido e amorale, tanto da intestare la sua società, con milioni di debiti, al figlio, pur di non andare in galera».  La moralità è sempre meno presente nella nostra società e pare che questo non scandalizzi più nessuno, non crede? «Purtroppo è così: viviamo nell'Italia delle veline, dove il potere dei soldi è tutto e corrompe qualsiasi cosa. Ma prima l'Italia era un Paese meraviglioso: ora non c'è più cultura, non c'è più il grande cinema, il mondo è cambiato in peggio e a volte penso ai miei figli, Maria Rosa (20 anni) e Brando (26), che futuro avranno?». Le sue commedie però ci aiutano sempre a sorridere: adesso andrà a Beverly Hills per il prossimo cinepanettone? «Sì, partirò ad agosto per le riprese di "Natale a Beverly Hills", con Michelle Hunziker, Massimo Ghini, Sabrina Ferilli, Alessandro Gassman, Gianmarco Tognazzi, Paolo Conticini, Emanuele Propizio e Micaela Quattrociocche». Perché Belen Rodriguez non sarà più nel cast? «De Laurentiis si è reso conto che la storia non prevedeva un personaggio dell'età anagrafica di Belen e allora si sono accordati per farle interpretare altri ruoli in future produzioni. Ma certo non sono stato io, come ha scritto certa stampa, a scaricare Belen. Ci tengo a precisare che la decisione di non prendere più nel cast la Rodriguez è stata presa esclusivamente dalla produzione. Tra l'altro, il ruolo di mia moglie nel film, fin dal primo minuto, era stato affidato a Sabrina Ferilli. Stavolta, tornerò a dire qualche parolaccia, per colorire il dialetto del mio personaggio, un gigolò romano che sfrutta le donne. Tanto che il film inizia con me che spingo una mia ex amante anziana sulla sedia a rotelle».  È contento di tornare in America? «Sì, è un grande paese e ho molta fiducia in Obama, se lui riuscirà a superare la crisi, aiuterà anche la nostra Italia, che oggi appare smarrita, senza capo nè coda. Sono fiducioso delle capacità di Obama. E poi ho deciso che a Los Angeles, tra un ciak e l'altro, andrò a scuola di tip tap: è tanto tempo che volevo farlo. Forse, è arrivato il momento giusto».

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