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Notte Depeche Mode tra pace e spogliarelli

Il concerto romano dei Depeche Mode

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L'aspettavano questa notte. L'aspettavano da tre anni. Da quando suonarono per l'ultima volta all'Olimpico. Da allora tante cose sono cambiate. Prima tra tutte la salute di Dave Gahan, reduce da un intervento chirurgico che gli ha salvato la vita. Quello che non è cambiato affatto è l'energia che i Depeche Mode sono in grado di trasmettere dal palco. Ieri sera hanno suonato per due ore. Una scaletta che non ha risparmiato nulla. Dal momento epico, a quello intimista, dall'impegno politico a spogliarelli e scene di amore lesbo. Altro che malattia. Gahan saltava dappertutto come un furetto. Si è scatenato dall'inizio alla fine, sotto occhi increduli. Davanti a cinquantamila spettatori scorrevano le immagini di bombe atomiche, ballerine di lap dance, figli dei fiori. Alle spalle di Dave Gahan, Martin Gore e Andrew Fletcher luci e colori venivano proiettati su un maxischermo centrale e su due schermi laterali. «I have learned so much from God that I can no longer call myself». E ancora «In the name of God stop the war». Le frasi lanciate negli occhi. La scaletta non poteva non puntare sui brani del nuovo «Sounds of the Universe» e sui cavalli di battaglia.   E allora via con «In chains», «Wrong», «Hole to Feed», «Walking in my shoes», «It's no good», «Question of time», «Precious», «Fly on the windscreen», «Little soul», «Home», «Come back», «Peace», «In your room», «I feel you», «Policy of truth», «Enjoy the silence», «Never let me down». Fino ai bis finali: «Stripped», «Master & Servant», «Strangelove» e ancora «Personal Jeus» e «Waiting for the night». Due ore di fuoco. Due ore di pura passione. Il vulcano dello stadio Olimpico non ammetteva latitanze. Gli occhi erano del tutto rapiti. Il centro della performance l'esecuzione di «Enjoy the silence», con Gahan che lasciava cantare il pubblico in un tripudio di echi e brividi lungo la schiena. La parentesi intimista con Martin Gore alla voce, emozionante interprete di «Little soul» e «Home». Il concerto ha vissuto anche il suo momento epico con «Peace», quando l'inno alla pace cantato da cinquantamila persone si intrecciava con le manifestazioni di piazza. Il catino infuocato dell'Olimpico ribolliva in delirio. Nulla in confronto, però, con l'amore lesbo proiettato sulle note di «StrangeLove». Una donna dai lineamenti orientali che spoglia una ragazza sdraiata su un divano. E Dave Gahan che balla sul palco. Roma si è raccolta attorno a una delle band più rappresentative degli ultimi anni. Che ha saputo reinventarsi mantenendo una purezza e una coerenza davvero invidiabili. Ieri sera Roma si è stretta attorno a tre suoi idoli, sorreggendoli e incitandoli. Fino al duetto finale di Martin Gore e Dave Gahan su «Waiting for the night». Insieme, quasi mano nella mano. Nudi di fronte al loro pubblico. Il pubblico di tutto il mondo. Sugli ultimi acuti le stelle degli accendini sul prato sembravano specchiare le stelle del cielo. In alto. Roma aspettava questa notte da tre anni. E i Depeche Mode l'hanno fatta cadere davvero. Dal cielo.

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