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"Il canto del diavolo" di Siti celebra la morte della cultura

Walter Siti

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Siti ha iniziato a pubblicare tardi - il suo primo romanzo, Scuola di nudo, è del 1994 - ed è soprattutto a partire dal 2006, con Troppi paradisi, che si è imposto. I due lavori successivi - Il contagio, del 2008, e quest'ultimo libro-reportage, Il canto del diavolo, appena pubblicato da Rizzoli - hanno consolidato una voce e un punto di vista unici. Siti è il più radicale degli scrittori italiani; lui ha superato l'ingenuità del romanzo-mondo, del romanzo muscolare, del romanzo-verità. Siti è riuscito a dire qualcosa di molto profondo sul nostro tempo, e lo ha fatto con le figure nichiliste della "resa", della "stanchezza" e della "disillusione". Nei suoi romanzi si sta tragicamente celebrando la morte della cultura, della società valoriale (umanistica o cattolica), della "totalità", del bello. Tutto va in frantumi - nonostante la retorica diffusa del "paradiso", fosse la droga, il danaro, o le luci della ribalta televisiva - e allo scrittore, retrocesso ormai al rango di poveraccio tra poveracci, non resta che soccombere, annullarsi, sia pure mantenendo un piede nella presunta "superiorità" della letteratura. Uno spettro si aggira purtroppo nel mondo globalizzato: l'anonima clandestinità della cultura.

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