Cinecittà, fucina di successi
Il cinema italiano sta vivendo un momento d'oro e lo dimostrano successi internazionali come il recentissimo "Vincere", oltre a "Gomorra" e "Il divo". Nel 2008 l'industria cinematografica tricolore ha prodotto 154 film, contro i 121 dell'anno precedente. Più di 10mila le imprese del settore che hanno operato nel 2007: ben l'85 per cento in più che nel 2001, con 76mila addetti. Tutti dati «freschissimi» del «Rapporto 2008. Il Mercato e l'Industria del Cinema in Italia», presentato ieri dalla Fondazione Ente dello spettacolo alla Luiss di Roma. I dati indicano che il cinema cresce, ma soffre, come spiegato dal curatore scientifico della ricerca, Redento Mori, di «polverizzazione», «sfasature dei ricavi», parcellizazione degli occupati». In una parola il cinema italiano è disorganizzato. Un male simboleggiato dal desiderio dei produttori di tornare a girare nel luogo più antico, storico e naturale: Cinecittà. Ma attualmente la cosa è quasi impossibile, per motivi di costi. A Cinecittà, per il momento, si lavora con la tv. Il «grido di dolore» è stato lanciato da Riccardo Tozzi, presidente dei produttori Anica e di Cattleya. «Dobbiamo tornare a lavorare a Cinecittà - afferma Tozzi - Un grande patrimonio della città, del Paese e del mondo». Ma non può essere un singolo a rilanciare il «totem» del cinema italiano, fondato da Mussolini sì, ma amatissimo dai cattolici e dalla sinistra, insomma un patrimonio di tutti. «Servirebbe un incentivo per creare un'economia di scala - spiega Tozzi - se ci vado a lavorare io da solo... costa troppo. Se ci torniamo in 30 i costi si abbattono». Per Dario E. Viganò, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, «il cinema italiano deve crescere, deve imparare ad essere industria. E con questi aiuti - aggiunge sfogliando il rapporto - è possibile». Erano cinque anni che il mondo del cinema attendeva un'analisi completa e approfondita del suo «stato di salute», l'ultimo rapporto è datato 2004. Il rapporto è una vera «Bibbia», come l'ha definita Luciano Sovena, alla sua prima uscita come amministratore delegato del gruppo pubblico Cinecittà-Luce. La creazione del gruppo ha permesso un risparmio immediato di 1 milione e 600mila euro. Sovena spiega che Cinecittà-Luce non ha nulla a che fare con la gestione degli studi. Cinecittà Studios oggi, dopo la cessione da parte dello Stato, precedente all'arrivo di Sovena, dell'ultima quota del 25 per cento, è una realtà tutta privata. «Noi parliamo di mercato, ma non stiamo sul mercato - aggiunge Sovena - Il primo compito oggi di Cinecittà-Luce non è di fare soldi, ma di scoprire nuovi talenti. E non siamo l'ultima spiaggia dopo Hiroshima, non dobbiamo sostenere film brutti, come in passato. Anche se da noi approdano giovani autori che fanno film che vedere è una tortura». E Sovena non rinuncia, dati del rapporto alla mano, a una polemica sul Fondo Unico per lo Spettacolo, i finanziamenti statali per lo spettacolo. «Dopo di noi viene solo il circo...». E non gli si può dare torto, visto che, ad esempio nel 2007, le fondazioni lirico-sinfoniche hanno preso 210 milioni di euro, il 48 per cento dell'intero Fondo, a fronte del 3 per cento degli spettatori, contro i 76 milioni dati al cinema (17,5 per cento del Fondo) che detiene però il 77,4 per cento del totale degli spettatori. Ma per fortuna il cinema italiano ha le «spalle larghe», grazie anche a giovani produttori come Mario Gianani, che ha realizzato «Vincere» (con il contributo, determinante, di filmati d'epoca dell'archivio Luce), presentato con successo a Cannes. «Nel nostro lavoro c'è poca razionalità - ha detto - È importante avere strumenti, come questo rapporto, per uno sguardo d'insieme del settore. La gestione economica nel cinema è pessima, uno studente di economia saprebbe fare meglio di noi. La crisi ci costringerà a razionalizzare il settore». E chissà, forse, a tornare a fare cinema a Cinecittà.