«Ciano, bello e corteggiato, mi disse: mai mi opporrò al Duce»
Lagente fa spesso ironia sugli eventi mondani dell'ambiente diplomatico. E si sbaglia. Si tratta di importanti occasioni di incontro (...) che a volte hanno il valore di un atto politico. Proprio come in questo caso. Il genero del Duce ha fatto un passo verso di me. E non mi nasconde, d'altra parte, che non è certo venuto per diletto. (...). Parla della Polonia, rammaricandosi che il conflitto con la Germania non possa essere appianato. Il suggerimento tedesco di un passaggio attraverso il Corridoio polacco era ragionevole. Bisognerebbe rifletterci. Il ministro racconta che Adolphe Hitler nutre una profonda ammirazione per Ribbentrop, e sembra stupirsene. Chiede se sia vera la voce sui terribili accessi di collera del Führer. Rispondo di sì. «Allora è molto diverso da Mussolini, lui non alza mai la voce e non si stanca mai di ripetere che niente può turbare il suo incrollabile pessimismo», osserva Ciano. Un sorriso discreto si dipinge sui volti dei presenti quando Ciano assicura che il Duce non si altera mai. Tutti sanno che il genero, più di chiunque altro, è ben consapevole del contrario. Man mano che i giorni passano, Ciano (...) si lascia andare di più (...). Ci vediamo tutte le settimane, spesso due volte la settimana. Mi esorta a non preoccuparmi di disturbarlo. Mi riceverà ogni volta che vorrò, a una condizione però molto significativa, cioè che la stampa non ne sappia nulla. Tra di noi si istaura l'abitudine di discutere liberamente, anzi, in modo familiare. Grazie a questi colloqui scopro un uomo molto diverso dalla fama che lo circonda, e decisamente migliore. Si dice infatti, a ragione, che conduca una vita dissipata. Gli piacciono le donne. Ed è molto corteggiato, non solo perché è uno dei principali rappresentati del regime (...), ma anche perché è amabile, gioviale e piacente. Va in giro circondandosi di una gioventù esuberante che, se non ricalca proprio lo stile della dolce vita, non ne è neanche troppo lontana (.... Il suo matrimonio è un fallimento. Anche questo è notorio. La Contessa non ama l'ambiente diplomatico. (...). Fa vita separata. Malgrado le apparenze, il marito ne soffre. (...). Nutre un profondo rispetto per Mussolini. Lo ammira. Obbedisce senza riserve ai suoi ordini. «Alcuni vorrebbero a tutti costi che tra me e mio suocero ci fossero degli attriti (...). È assurdo. Non c'è, non potrà mai esserci nulla di simile. Devo tutto a Mussolini. Senza di lui non sarei nessuno. Ha la mia più totale devozione; faccio e farò sempre di tutto per assecondarlo. Ma non per questo rinuncio alle mie capacità critiche(...)». Queste parole, impresse nella mia memoria, si tingeranno di un accento tragico quando qualche anno dopo scoppierà il dramma che metterà i due uomini uno contro l'altro, e farà del suocero l'aguzzino del genero.