«Io, pugile dilettante al campionato dei massimi»
Peccatoche il Premio Strega si decida totalmente a Milano. Non soltanto perché circa 150 dei 400 "Amici della domenica" vivono a nord di Roma, ma soprattutto perché le grandi case editrici hanno sotto contratto buona parte dei giurati del premio. Sono curiosi, i milanesi: ogni anno si portano a casa lo Strega, salvo poi gridare ai quattro venti che a Roma sono tutti venduti. Il premio Strega, però, è quello che è, e quindi non va mitizzato: è un gioco di società, un piccolo "monopoli" in cui gli scrittori, per una sera all'anno (la finale il 2 luglio), si trovano al centro dell'attenzione. Eppure, ogni anno, scoppiano puntuali le polemiche. Quest'anno la grana sembrava abbastanza grossa, perché il Gruppo Mondadori - con Daniele Del Giudice - partiva in pole position per il terzo anno consecutivo, e questo ha fatto gridare allo scandalo (Mondadori e Einaudi, messi insieme, controllano la maggioranza dei voti dei giurati, è bene saperlo). Poi, però, visto che è successo il finimondo, Del Giudice ha rinunciato, e, al suo posto, Einaudi ha candidato il meno vincente Tiziano Scarpa. Mondadori, allora, ha fatto un passo indietro. Rizzoli e Feltrinelli sono rimaste fuori (nell'impossibilità di vincere, meglio non farsi vedere, avranno pensato). Mentre infuriavano le polemiche per l'entrata trionfale di Del Giudice nella competizione - e mentre Antonio Scurati della Bompiani dichiarava guerra a destra e a manca - Tullio De Mauro, con la sua solita scrollatina di spalle alla Totò, diceva che lui non poteva farci niente, che avrebbe impedito che le schede dei giurati passassero direttamente nelle mani degli editori, ma, in concreto, è rimasto a guardare, dimostrando di prendere sul serio il ruolo di motore immobile del premio delle discordie. Ma la cosa più assurda è accaduta dopo che Del Giudice si è tirato fuori dalla rissa da pollaio; ed è accaduto che un certo critico-dj, Antonio D'Orrico, l'uomo che dichiara che Faletti è il più grande scrittore italiano (sic!) si è messo a perorare la causa della salvezza del Premio Strega, candidando ogni settimana, in una delle sue tante rubriche ombelicali, Andrea Camilleri, Gaetano Cappelli e Andrea Vitali. A quel punto è accaduto che tra gli aspiranti alla cinquina siano spuntati proprio Cappelli e Vitali (quest'ultimo, Gruppo Garzanti, in posizione vincente). Nulla da eccepire su Cappelli, sempre fin troppo sottovalutato, e che quindi merita questo momento di eccezionale visibilità. Ma Vitali, che, francamente, vale un'unghia di Piero Chiara, da dove spunta? Quindi la situazione attuale è questa: Antonio D'Orrico da Cosenza detta la linea, Mondadori per un anno cede per calcolo lo scettro, e De Mauro cuor di leone fa spallucce come Totò. Ma io vorrei chiedere a De Mauro: è stato davvero risolto il nodo dello strapotere della Mondadori? E, se sì, in che modo? Alla fine la battaglia sarà tra Scurati e Vitali. I piccoli e medi editori, invece, come sempre, saranno alla disperata ricerca di voti di scarto, e tenteranno in tutti i modi di entrare almeno in cinquina. Epperò io mi chiedo: visti questi giochi e viste queste manovre, com'è possibile che chi vince il premio Strega venda centinaia di migliaia di copie, mentre chi arriva secondo non ne venda nemmeno una? Mi si dirà: è solo un gioco, un premio. È vero, niente di fondamentale. Ma davvero non si riesce a capire come un premio venga vissuto così grevemente da gente che dovrebbe avere dimestichezza con la letteratura, e non con le trattative da mercato all'ingrosso. Eppure anche De Mauro, il glorioso linguista, ci si è clamorosamente impantanato. Almeno non si dica più che i romani sono mafiosi. I romani non fanno altro che abbuffarsi simpaticamente al buffet di Villa Giulia; il premio, invece, quello vero, si decide a Milano. Nihil sub sole novum, si dirà, ma perlomeno si smetta di gridare "Roma ladrona" mentre Milano magna.