Padiglione Italia, il vecchio vizio dell'ideologia
Mai due curatori, Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, sono stati investiti da una poderosa tempesta mediatica che ha trasformato il Padiglione Italia in terreno di scontro ideologico. Forse tutto è nato da alcune dichiarazioni di Luca Beatrice che ha collegato il Padiglione all'egemonia della nuova destra mettendo però troppo in secondo piano l'autonomia delle singole opere. Apriti cielo! I giornali di centrosinistra hanno cominciato subito a stroncare gli artisti invitati, molto prima della «vernice». «Sono tutti pregiudizi – ci dice il curatore – motivati dalla faziosità di chi ha sempre detenuto lo scettro della cultura nel nostro Paese e che ora non vuole cederlo a noi di centrodestra». Molti artisti fra i venti invitati nel Padiglione a dir la verità non hanno preso bene questa equazione politica. Uno dei migliori, Matteo Basilè, non accetta di essere coinvolto in questo gioco ideologico. E allora guardiamoli i lavori esposti, con prevalenza della pittura. A fronte di alcuni picchi qualitativi, sono troppe però le cadute di gusto. E pochissime le opere che si ricollegano allo spirito futurista. Bello e misterioso è il video dei MASBEDO che invita a scrollarsi di dosso l'ansia del possesso materialista. Piene di evocazioni sacrali e tecnologiche al tempo stesso sono le stampe fotografiche del visionario Basilè, così come è fantasmagorico il lavoro che Manfredi Beninati dedica a Marinetti, immaginando un caleidoscopico affresco su cui riaffiora un concerto futurista di intonarumori. Ma è imbarazzante il «Teatro di Varietà Italia» dipinto da Gian Marco Montesano con tanto di Mussolini, Craxi, Almirante, Moro, papa Wojtyla... Per non parlare dell'iperrealismo kitsch di Nicola Verlato che dipinge la morte di James Dean su gigantesche pale d'altare oppure i microfoni e l'unicorno ricoperti da cristalli Swarovski e messi in scena da Nicola Bolla. Gab. Sim.