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Wajda: «Ma Katyn è ancora tabù»

Wayda

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«Mi chiesero di candidarmi al Senato, nel 1989 - ricorda subito il cineasta polacco - Ma non volevo certo fare il politico». Wajda, il suo ultimo film, «Katyn», ha avuto un grande successo in Polonia. E nel resto del mondo? «Katyn è un avvenimento triste e importante della nostra storia. In Polonia vecchi ma anche giovani della scuola sono andati in massa a vederlo. All'estero non ha avuto un grande successo. Ma non sarei preoccupato sela gente non venisse al cinema, sarebbe una cosa naturale. Invece, è innaturale che il film non sia distribuito. Credo che ci sia stato un errore nel modo di distribuire la pellicola da parte della televisione pubblica polacca: invece di affidarla a un distributore conosciuto chiedendo tanti soldi e quindi costringendo lo stesso a pubblicizzare il film e a sostenere la distribuzione per rientrare nella spesa, si è provveduto a cederla a una serie di mediatori che hanno poi cercato di venderla in diversi Paesi. Certo, ci sono cose sorprendenti. Non siamo riusciti ad ottenere una distribuzione in Germania. In Russia e Usa c'è uno stesso distributore, sconosciuto. Circostanza che fa pensare». Che cosa brucia in Katyn? Come spiega bene Victor Zaslavsky nel libro sul massacro, i sovietici avevano effettivamente programmato scientificamente la morte dei 22 mila ufficiali polacchi che incarnavano i "nemici obiettivi", ovvero l'intelligenza borghese polacca, un vivaio potenziale di resistenza, così come la deportazione nei campi delle loro famiglie. Queste esecuzioni di massa sono concepite come una "pulizia di classe". Katyn rimane un argomento scottante fra Polonia, Russia e Germania? Solo Gorbacev e poi Eltsin negli anni Ottanta hanno reso pubblici documenti secondo cui Laurenti Beria allora propose il massacro. Fino ad allora i sovietici si erano ostinati a denunciare le colpe dell'esercito nazista che aveva occupato quella porzione di Polonia dopo che era stato infranto il patto Ribbentrop-Molotov che affidava l'est della Polonia ai sovietici. Nel 1943 i tedeschi invitarono il governo polacco in esilio a Londra e la Croce Rossa Italiana a verificare chi fossero le vittime trovate nelle fosse comuni e venne fatto anche un film di questi avvenimenti». I fatti avevano avuto luogo nella primavera del 1940? La commissione si basò sui reperti umani, sulla datazione degli alberi che erano nati sulle fosse comuni e sui documenti ancora leggibili che erano stati trovati sulle vittime. Tutto questo tolse ogni dubbio perché la data effettivamente era quella della primavera del 1940, quando i sovietici avevano il controllo di quel territorio. Io ho lavorato nell'Accademia di Belle Arti nella Scuola del Cinema, e ho perso mio padre all'età di 13 anni nelle caverne di Kharkov; è stato seppellito in una fossa comune. Quanto conta la sua emozione personale nel racconto storico? Il mio vero problema era che non avevo documenti letterari o filmati documentari di quell'epoca. Ho visto solo in seguito il filmato tedesco e poi quello sovietico in cui, i primi d'estate, i secondi d'inverno, riesumano le vittime per filmarle. La prima scoperta storicamente fu fatta nella foresta di Smolensk da parte delle truppe tedesche; nel '43 girarono il film con la Croce Rossa: quando i sovietici hanno recuperato questo territorio hanno fatto il loro film sotto la neve e con un prete ortodosso che benedice le vittime cattoliche, forse un atto inconscio di malafede esagerata...? È chiaro che l'aspetto emotivo di fronte a tragedie di questa portata non può non influire sulla ricostruzione storica, che è doverosa e di cui l'emozione deve comunque fare parte.  Qual è il suo prossimo progetto? Un film su Lech Walensa, soprattutto incentrato sui suoi primi anni, quando da elettricista diventa uomo politico.

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