Aznavour l'ambasciatore apre il rito sulla Croisette
Il cantante e compositore parigino, 85 anni il 22 maggio - è sempre stato legato alle sue origini. Il padre, ex cantante, gestiva un ristorante in rue de la Huchette, ritrovo della comunità armena di Parigi. Papà Mischa e la mamma Knar scamparono al genocidio dei turchi nel 1915 e Charles nacque alla fine del viaggio dall'inferno. Se oggi la Francia ha riconosciuto il genocidio degli armeni si deve anche all'impegno degli artisti, a chi, come la famiglia Aznavourian, non ha mai dimenticato. All'episodio cardine della sua vita il musicista ha dedicato gran parte del suo personale impegno civile di questi ultimi anni, senza tuttavia irrigidirsi. Una malinconia infinita - come nelle sue canzoni - mai l'odio fine a se stesso. Aznavour è uno dei miti del nostro tempo, uno chansonnier che ha fatto sognare milioni di persone con concerti destinati sempre a trasformarsi in evento, con canzoni interpretate con quel timbro inconfondibile. Un colore di voce che ha sempre dato l'impressione di scavare nelle parole, infondendo un suono e un significato inatteso. «Il faut savoir», «La bohème», «I commedianti», «Ed io tra di voi», «L'istrione», «La mamma», «Come è triste Venezia»; è lungo l'elenco dei suoi successi, in francese e in italiano. Ma non solo. Aznavour è stato anche attore di talento, scelto da registi come Andè Cayatte, Jean Cocteau, Francois Truffaut, Renè Clair, Claude Chabrol. La sua vicenda professionale, artistica e umana attraversa otto decadi del mondo dello spettacolo, dal cabaret ai teatri di provincia, fino alle pedane internazionali più ambite. Il suo approccio alla musica è sempre stato diretto, spontaneo, supportato da un talento purissimo, quando cantare e recitare erano una gioia che coinvolgeva artisti e pubblico, con storie di amori vissuti, perduti, ritrovati e rimpianti. È comunque significativo che questo grande artista, dopo aver raggiunto le mete più ambite, senta il bisogno di guardarsi indietro e fare una riflessione non soltanto sulla sua infanzia, sui suoi debutti difficili, le sue donne ma anche sui momenti più drammatici della sua esistenza. In tutto questo l'Armenia - crocevia percorso da eserciti e da carovane sulla via della seta - con la complicata storia di etnie, religioni, lingue diverse, giocò un ruolo fondamentale. Divenne nazione divisa tra due modi di vivere, quello dei suoi vicini e quello dei suoi alleati. Lui, Aznavour, si è sempre sentito figlio di queste due culture. Proprio come il suo Paese è stato invaso, attraversato e conquistato, ancora giovanissimo, da vari stili di vita, subendo gli influssi della sua terra d'origine, in ambito sia musicale che poetico, sia classico che popolare: russo, ebreo, gitano, arabo, armeno e poi francese, spagnolo, americano. «Quando mi chiedono se mi sento più armeno o più francese - ricorda il cantante - c'è un sola risposta: cento per cento francese e cento per cento armeno». L'impegno assunto da Aznavour non deve sorprendere. Il suo cruccio è non aver ritrovato, nonostante le approfondite ricerche, il registro di matrimonio dei suoi genitori. A quel tempo le chiese fungevano da stato civile e quelle armene sono state saccheggiate e distrutte. È ammirevole anche il pudore con cui Aznavour affronta oggi la sua professione e la sua età. Affiora un certo ritegno. Ma raramente compare il pericolo maggiore, la reticenza. A pensare che Edith Piaf, la sua musa, agli inizi lo rimproverava: «Sei troppo artificiale, le tue canzoni sono piene di trucchi». Lui, sornione, dice che la Piaf aveva ragione. Certo è che anche dall'America, dove vive per sfuggire al fisco francese, continua ad avere come riferimento l'amore. Lui che meglio di ogni altro ha cantato l'amore. Toujours Aznavour!