Appena varcata la soglia dell'Università di Berlino, il giovane Marx pensò di affermarsi e di cominciare a far conoscere il proprio nome con un dramma che pensò di scrivere in versi.
Propriodi talento poetico quei versi non hanno alcuna traccia. Se anche vuole dare concitazione ai suoi slanci poetici, non sa paragonare la sua donna che al «Tutto», all'assoluto dei filosofi. I suoi primi contrabbandi poetici gli sono dunque stati suggeriti dall'amore? Credo che traessero argomento dall'amore, ma non attingessero a quella passione il loro corso e il loro metro. Sono argomentazioni, non impeti poetici. La Jenny sapeva ben maneggiare la penna. In una lettera di Marx che sua figlia Eleonora fece pubblicare sulla Neue Zeit (XVI, 1, 6) si legge: «Saluto la mia dolce, magnifica Jenny. Ho già letto la sua lettera dodici volte e vi scopro sempre nuove attrattive. Essa è sotto ogni aspetto, anche quello stilistico, la più bella lettera che si possa pensare da una donna». I versi da dedicare a una donna simile, anche se dovevano assolvere un compito meramente intimo, senza destinarli alla pubblicazione, erano costretti ad assumere forma eletta e finezza di composizione. A casa Westphalen si era abituati alla lettura dei classici, e il buon gusto letterario era perciò molto sviluppato. Von Westphalen padre, al quale Marx dedicò la propria tesi di laurea dal titolo «Differenza tra la filosofia della natura democritea ed epicurea» sapeva recitare tutti i canti di Omero e sapeva a memoria tutti i drammi di Shakespeare. Ma innegabilmente le composizioni poetiche di Marx tradiscono in lui l'anima meno pronta agli slanci lirici: la riflessione, il concetto, l'argomentazione prendono il posto dell'intuizione artistica, dell'immagine, della passione. Io credo che Marx avesse ancora troppo viva l'impressione delle letture, nei loro testi originali, dei poeti latini e greci: e scrisse versi quasi per continuare quella forma di attività letteraria in cui era culminata la scuola per lui. Malgrado questi esercizi d'interpretazione, o forse proprio a causa di essi, il giovane Marx aveva tratto poco affinamento del proprio talento artistico dallo studio del greco e del latino. Nel suo diploma di licenza liceale, che Laura Lafargue conservava, le sue attitudini scolastiche sono così classificate: buona condotta, ottimo nella storia e nel tedesco, sufficiente in matematica, mediocre in francese; ma vi sono delle menzioni speciali per ciò che riguarda la classifica del greco e del latino: che Karl Marx ha spesso saputo tradurre e spiegare i più difficili passi dei vecchi classici «specialmente quelli in cui le difficoltà non stanno tanto nella proprietà della lingua, quanto nella cosa e nella connessione delle idee, ma il suo periodare latino è, benché ricco di idee, spesso sovraccarico di improprietà». Come si vede, anche sui banchi di scuola Marx aveva mostrato di essere uomo di idee ma non di gusto artistico. Lo studio della filosofia e del diritto doveva ben presto guarire Marx dalle sue illusioni poetiche. Il fatto stesso che non aveva più pensato a consegnare al torchio i tre volumetti di strofe già approntati prova che finalmente il giovane cominciava a fare l'esatta conoscenza dell'uomo che recava in sé. Il curioso è che i tre fascicoli di versi sono tutti datati al 1836. Il primo ha per titolo Il libro delle Canzoni, di Karl Marx, Berlino 1836; il secondo fascicolo Libro dell'amore, prima parte, e il terzo fascicolo Libro dell'amore, terza parte. Sono tutti dedicati alla «mia cara, eternamente amata Jenny von Westphalen». Il fatto che queste composizioni non furono distrutte mai da Marx, benché egli stesso ne ridesse come «stoltezza di gioventù» prova che furono sempre un piacevole ricordo personale. La «Canzone della Silfide», la «Canzone degli gnomi», il «Canto delle sirene», la «Canzone alle stelle», poi il «Ciclo delle ballate di Alboino e Rosmunda», la «Canzone del campanile», la novella poetica del solito cavaliere che compie lontano prodigi di valore e che ritorna a casa proprio nel momento in cui l'amata infedele sale l'altare con un altro, e poi ancora la «pallida fanciulla» e «il garzone e la fanciulla», sono tutte composizioni metriche ma non poetiche. Un valore documentario hanno certo quei versi. Non è dunque da dire allora che qualche rivoletto di vena poetica non scorra fra gli arruffati componimenti metrici del giovane Marx, come in queste strofe, ad esempio: Nimmer Kann ich ruhig treiben (Fare in pace mai non posso)/ Was di Seele stark erfasst (Quel che l'alma fortemente vuole)/ Nimmer still behaglich bleiben (Né giammai restar contento)/ Und ich stürme ohne Rst (E sto inquieto e senza posa)/ Alles möcht ich mir erringen (Tutto io vorrei rendere mio)/ Jede schönste Göttergunst (Il più bel favor divino)/ Und im Wissem wagend dringen (Nella scienza avventurarmi)/ Und erfassen Sang und Kunst (E sapere il canto e l'arte). Assai severo contro se stesso fu lo stesso Marx, che nel 1837 già scriveva dei suoi versi: «sentimenti gettati alla rinfusa e senza forma, niente naturalezza, tutto costruito nella luna, riflessioni retoriche invece di umore poetico». Il padre quando seppe che Karl voleva dare alle stampe i suoi versi, lo dissuase: «Mi annoierebbe - gli scriveva - di vederti esordire come un volgare poetucolo». E Marx voltò le spalle alle Muse arcigne, dopo aver faticato per un anno ad ascendere la salita del Parnaso. Ma si è rassegnato a restare nella valle della prosa? Un'allusione di Bruno Bauer lasciava ancora intendere, tre anni dopo, che Marx non si era ancora deciso a divorziare dalla poesia. Sorge il sospetto che qualcuna delle sue canzoni sia restata antidatata nella raccolta. E sia perciò più che un peccato di prima gioventù. Ma io sostengo che comunque, questi versi non debbano andare smarriti. Essi hanno un indubbio valore biografico: ed è bene che in un lavoro bio-bibliografico completo su Marx vi figurino anche i suoi versi.