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Il film sulla stilista che rivoluzionò l'idea di donna Tautou: diceva che una ragazza innamorata è finita

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Questaè l'icona di Gabrielle "Coco" Chanel, che inventò il tailleur indossato dalle donne liberandole da quei soffocanti corsetti. E come se non bastasse, dopo essere scesa da cavallo con i calzoni del suo scudiero, introdusse i pantaloni nel guardaroba femminile. La prima donna che ebbe il privilegio di essere chiamata stilista, usò tessuti maschili per abiti raffinati, con maxi bottoni di perle, catene dorate e il primo logo della storia, con le celebri doppie C. Convinse persino le donne ad abbronzarsi firmando il leggendario Chanel N.5, in un'epoca in cui i profumi erano solo miscele di essenze naturali. A 38 anni dalla morte, il mito viene celebrato. Negata la collaborazione alla passata miniserie tv di Raiuno (con Bobulova e McLaine), la Maison Chanel (ora diretta da Karl Lagerfeld) ha dato il suo apporto a due film sulla grande stilista: «Coco Chanel & Igor Stravinsky» con Anne Mouglalis (dedicato al grande amore tra Coco e il musicista russo che chiuderà il 24 maggio il festival di Cannes) e «Coco avant Chanel» di Anne Fontaine con l'esile Audrey Tautou, dal 29 maggio distribuito da Warner in 150 sale. Madame Tautou, come ha affrontato il percorso di un'orfanella che diventò regina della moda? «La modernità del personaggio mi ha sempre affascinato, soprattutto per la posizione che ha conquistato a favore delle donne. Ho amato subito questo film, da quando ho saputo che raccontava gli anni di formazione di Coco, i più interessanti. Chanel è un mito d'indipendenza e di libertà: ho cercato in tutti i modi di sentirmi come lei, in comune abbiamo un carattere indipendente, nessuna paura del giudizio degli altri e nessun interesse a fare leva sulla seduzione». Si racconta che Coco fosse bugiarda e avesse inventato sapientemente tutta la sua vita... «Era bugiarda perché in realtà la sua vita non le piaceva. Non amava sentirsi una vittima, era fiera e non sopportava chi mormorava "povera Coco". Anch'io, ad un certo punto, mi sono confusa tra le sue contraddizioni e l'ho interpretata liberamente, affidandomi all'intuizione». Sul set, lei mostra una grande abilità nel cucire, è così anche nella realtà? «Sì, so cucire bene, me lo ha insegnato la nonna. Anche io provengo dalla provincia, dalla campagna francese, proprio come Coco. Ma non ho certo talento da stilista, con la moda ho un rapporto infedele e non me ne intendo delle nuove tendenze». Chanel diceva che «una donna innamorata è finita...» «Lei non voleva dipendere da nessuno, tanto meno da un uomo, in un'epoca in cui le donne più fortunate erano quelle che si facevano mantenere. Anche lei si fece mantenere, prima da Balsan (Benoit Poelvoorde), poi dal suo unico grande amore, Boy Capel (Alessandro Nivola), che perse tragicamente, proprio come accadde alla Piaf. Era dura e arrogante: lentamente è riuscita ad imporsi nella società superficiale di Royallieu, sopportando lucidamente le umiliazioni, sicura del fatto che non sarebbe rimasta lì a lungo». Anche lei, come Coco, proviene dalla stessa provincia francese e anche lei ha scoperto Parigi per seguire la sua vocazione: che effetto le ha fatto? «Per una ragazza di provincia è fantastico scoprire Parigi, oggi come allora, è bella, impressionante, un sogno, è la possibilità di diventare qualcuno». Chanel credeva che nella vita non si è mai troppo magri nè troppo ricchi: condivide? «Anch'io sono molto magra e minuta e ho cercato di evidenziare questa apparente fragilità nel film. Coco diceva pure che "la moda cambia, la classe resta", oppure: "un uomo può indossare ciò che vuole, resterà sempre un accessorio della donna". In realtà a Chanel interessava una sola cosa, la libertà. Amava reinventare le donne e liberale dalla schiavitù maschile, tanto che con Emilienne (Emmanuelle Devos) si adombrò persino un rapporto saffico».

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