Melato: «Baricco sbaglia Il teatro è una magia»
Tiberiade Matteis La dicotomia fra etica e società è il tema quanto mai attuale del brechtiano «L'anima buona di Sezuan» che ha per protagonista, da martedì all'Argentina di Roma, un'inedita Mariangela Melato nel doppio ruolo della prostituta Shen-Te, l'unica persona generosa della terra disposta ad accogliere tre divinità in cerca di asilo, e del suo alter ego maschile e negativo Shui-Ta. L'allestimento, firmato da Elio De Capitani e da Ferdinando Bruni, è un'occasione per meditare sui necessari cambiamenti dell'individuo che permettono il benessere della collettività. Come si misura con due figure opposte e complementari come Shen-Te e Shui-Ta? «Abbiamo assecondato la tesi brechtiana per cui si tratta di due immagini della stessa persona in una coesistenza della parte nera e di quella bianca che riguarda ognuno di noi. Per l'autore è infatti molto difficile essere completamente buoni e anche la magnanimità ha bisogno di durezza. È una visione modernissima in un mondo come il nostro che va tutto a favore dei furbi e sono proprio felice di farla conoscere e scoprire alla gente a vent'anni di distanza dall'edizione di Strehler. Incarnare una donna e un uomo, nel contrasto fra maschile e femminile, mi richiede sostanziali e massacranti differenze vocali e perciò sono più roca del solito. È determinante che i due personaggi siano ben distinguibili». Lei si considera una persona buona? «Ovviamente mi conosco abbastanza e il mio mestiere vissuto approfondendo me stessa oltre che gli altri mi ha fornito un'immagine di me ben precisa. So per certo, e posso dirlo immodestamente, di essere buona e di provare stimolo e interesse verso le persone buone. Molte donne, invece, amano i potenti, i forti e i furbi, ma io ho sempre cercato il contrario. Per me la bontà non corrisponde all'incapacità, bensì al talento di vivere, di darsi agli altri e di avere comprensione. Molti mi dicono che sembro fatta apposta per questo duplice personaggio. In realtà sono attratta dall'aspirazione alla bontà. È ineluttabile che la mia apparenza pubblica sia quella di una donna autoritaria, determinata, con un carattere più deciso di quanto non sia e persino con la possibilità di incutere timore: tutto questo nasce soltanto dall'esigenza di doversi far rispettare in un contesto competitivo». Quale aspetto preferisce di questo suo ultimo spettacolo? «Mi piace il finale in cui abbiamo mantenuto l'epilogo originale che mi consente di rivolgermi direttamente alla platea. Posso fingere di non recitare, coinvolgendo il pubblico, che pensa di ascoltare parole mie e spesso risponde non facendomi neppure continuare. Quando dico che l'uomo dovrebbe cambiare gli spettatori si esaltano e si manifestano d'accordo». Cosa replica alla provocazione di Baricco contro il finanziamento pubblico del teatro? «È una polemica fasulla. Non condivido il sostegno fornito alla televisione che non ha bisogno di soldi, ma piuttosto dell'intelligenza di usare meglio uno strumento stupendo. Non si può dimenticare che il teatro è un luogo magico in cui la gente sceglie di venire per partecipare a un rito che si svolge veramente, solo per quella sera e solo in quell'unico luogo». Nella sua carriera ha avuto qualche momento di scoraggiamento? «Se mi capita sono talmente inserita nel mio tempo che mi vergogno di fronte a chi non trova lavoro, anche nel mio campo. Posso avvertire la solitudine, la fatica serale quotidiana, il peso di girare e stare sempre in albergo, ma non oso lamentarmi per rispetto di chi sta peggio». Ha una richiesta per il suo futuro? «Auspico una lunga vita a questo spettacolo che mi sono presa sulle spalle nella speranza che duri due o tre stagioni perché lo merita. Mi auguro, inoltre, che la crisi globale e totale ci abitui a vivere meglio e a selezionare ciò che è veramente importante».