I segreti di quello sbarco maledetto
«Contro i 1.800 moderni cannoni nemici, schieravamo 500 bocche da fuoco, per due terzi residuati della Prima guerra mondiale. Contro i 600 carri armati anglo-americani si contano circa 155 carri tedeschi e un'ottantina di carri leggeri italiani, 50 dei quali Renault 35». Eppure il giovane tenente dei carristi Angelo Navari sul suo Renault 35, una scatola di latta con i cingoli, dalle foto in bianco e nero sembra sorridere. Alle 2 nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 in Sicilia gli Alleati hanno dato il via alla più imponente operazione di sbarco che si sia mia vista nella storia fino a quel momento, sulla spiaggia tra Licata e Gela e tra Pachino e Siracusa. Alle 8 del 10 luglio il tenente Angelo Navari alla testa di 12 carri Renault contrattacca. Punta verso l'abitato di Gela, affiancato solo da una compagnia di bersaglieri. Vengono massacrati dal diluvio di fuoco che arriva dal mare. Restano solo due carri italiani. Il tenente Navari avanza da solo. Travolge le difese americane fuori dal paese, lungo la ferrovia. I ranger se lo vedono passare davanti all'ex Hotel Trinacria, sembra invulnerabile. Semina il vuoto, è a 300 metri dalla spiaggia. Ha tagliato in due la testa da sbarco della più potente armata. Perde il pilota. Alla fine un colpo di bazooka blocca i cingoli. Angelo Navari esce dalla torretta con la pistola in pugno. Un proiettile lo centra in fronte. Ma il suo sacrificio è servito a dimostrare quanto il dispositivo americano sia fragile, nonostante che dalla notte prima, sotto un cielo di pece, il mare sia letteralmente ricoperto di cannoniere e mezzi da sbarco, a ondate piovano bombe dalle fortezze volanti. Strano libro quello scritto da Andrea Augello, senatore del Pdl. Un libro che ha il merito di far rivivere dall'oblio questi eroi non per caso. E dove i liberatori sparano sui civili, massacrano i prigionieri. "Uccidi gli italiani" è edito da Mursia, è stato presentato all'auditorium dell'Ara Pacis; e ha una postfazione, preziosa, scritta da Anna Finocchiaro che al Senato siede nel versante opposto, capogruppo del Pd. Il titolo viene dalla parola d'ordine dei parà britannici che presero parte allo sbarco, in codice "operazione Husky", quando gli Alleati non avevano ancora deciso - osserva Andrea Augello - di descrivere la campagna di Sicilia come una "missione umanitaria". Soprattutto il saggio, che spesso ha il ritmo incalzante di una sceneggiatura cinematografica, ma ricco di documentazione e di testimonianze, ha un altro merito. La strage di Biscari (furono fucilati oltre 70 soldati italiani dopo che si erano arresi) - rivelata qualche anno fa da Gianluca di Feo del Corriere della Sera, e probabilmente non l'unico crimine di guerra americano in Sicilia - resta sullo sfondo. La ricostruzione di Andrea Augello rovescia la vulgata secondo la quale sull'isola le nostre forze armate si sciolsero come burro, un anticipo dell'8 settembre. E invece gli italiani combatterono una battaglia feroce. Durissima. Tra gli errori incredibili - semmai - dei tedeschi e la violenza spesso brutale delle truppe alleate. Si combatté per giorni intorno a Gela, nel centro del paese: dalla piazza del Duomo fu prima tolta metà dal mucchio di corpi, quella dei soldati americani uccisi, e poi i fotoreporter di Life fotografarono solo i cadaveri degli italiani. Per almeno due volte gli Alleati rischiarono, nonostante l'enorme superiorità di mezzi, di essere ributtati in mare da quell'esercito di "straccioni". "È questa la Storia che restituisce alla città di Gela l'identità di tanti cittadini valorosi che non trovarono neppure l'onore di una sepoltura ufficiale" scrive Anna Finocchiaro. Dal 10 al 12 luglio caddero sul fronte di Gela 3.300 soldati italiani (molti i ragazzi della Divisione Livorno). Si conosce il luogo di sepoltura per 600 di loro: all'appello ne mancano 2.700. Giacciono sotto i campi, nelle fosse comuni. Oltre che si faccia chiarezza sui crimini di guerra, che si restituiscano le medaglie "rubate" a chi si comportò da eroe, l'augurio di Andrea Augello è che nasca un "luogo della memoria dello sbarco" riconoscendo finalmente "ai combattenti, italiani, tedeschi, americani, nulla di meno dei loro meriti e dei loro limiti in momento spaventoso" in cui migliaia di giovani si misurarono con l'orrore della guerra.