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Sergio Zavoli, l'uomo pubblico che nel privato pensa in poesia

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Qualeè la parte in ombra di un uomo da 50 anni esposto a una vita data in pasto ai media e alla politica? Zavoli è uomo a cui la celebrità di una lunga carriera giornalistica, e ora la figura di senatore issato in mesi di polemiche alla presidenza della commissione di Vigilanza della Rai, han dato una strana luce da figura pittorica, quasi da pennello di Previati. Un chiaro soffuso, lavorato e profondo. Non è solo il bianco dell'età, o il riemergere come accade di tratti ragazzeschi nei visi che hanno attraversato molto tempo. No, credo che debba questa pudica luminosità a un tesoro chiuso nel pugno. Un poco di sale, qualche cristallo di roccia, d'oro vegetale. Ha dato un manipolo di libri: "Un cauto guardare", del 1995, "In parole strette", del 2000, e "L'orlo delle cose", del 2004. Titoli che, messi così in fila prima del recente "La parte in ombra" (Mondadori), sembrano preluderlo nella scelta di una misura diversa da quella invasiva e spesso verbosa di tv e politica. Troppo facile dire che la poesia - che in queste pagine abita con tocchi leggeri e micidiali, d'una sincerità a volte urticante e perciò viva - è l'altra faccia di un uomo pubblico. Troppo facile dire che queste pagine, sospese tra flash di elegia, epigrammi sapidi e arte dedicatorie degli incanti e delle illuminazioni, sono il mormorato controcanto. Invece è qui la parte più "sfacciata" di Zavoli. Il teatro più aperto, che include l'altro politico e televisivo. Qui è un cane affamato, furioso pur se in gesti trattenuti, che cerca la propria anima, ricompone le istantanee di incontri, di amori, di disillusioni smarrite, di nudità. Qui forte la presenza e la scena del mare. Che tra Baudelaire e Montale è visione di qualcosa che è infinito di noi.

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