Guareschi, genio dal cuore conformista
Adessoche il test del DNA e il Tribunale di Parma hanno stabilito che Giuliano Montagna è "figlio naturale" di Giovannino Guareschi e può fregiarsi dell'illustre cognome, viene da chiedersi perché il papà (con tutti i crismi della natura e della legge) di Carlotta (la Pasionaria) e di Alberto, e il padre letterario (con tutti gli "imprimatur" della intelligenza creativa, della simpatia e del successo), di don Camillo e Peppone; viene da chiedersi, dicevamo, perché non abbia dato un po' più di calore, qualche bacio, qualche abbraccio, e magari qualche rimprovero e qualche scappellotto, tutte cose da babbo, insomma, al suo Giuliano Alberto Michele. Giuliano Montagna. Figlio di Giovannino Guareschi e Luisa Carta. Giovani e innamorati. Troppo giovani e troppo innamorati per pensare alle conseguenze dell'amore. Troppo giovani e (forse) troppo poco innamorati per far fronte - insieme - all'emergenza-figlio. E così ecco Giuliano Alberto Michele e il suo destino di mite e triste cercatore del padre. Da figlio di N.N cui una brava persona, il cortese signor Montagna, dà cognome, sostegno e affetto, sposando, qualche anno dopo il "fattaccio", la "peccatrice". Abbiamo detto "affetto", sarebbe stato improprio dire "amore". Perché, a nostro avviso, vale il magistero di Filumena Maturano: "i figli so' piezz' e' core", pezzi del cuore tuo, della carne tua. E se un figlio tuo non è in questo senso viscerale, lo ami "davvero"? E lo ami "davvero" un papà per sola virtù di carta bollata? Intendiamoci, Giuliano non entra nel merito e professa solo gratitudine nei confronti del patrigno. Ma noi, tenendo conto della sua tenacia nel voler essere Guareschi e solo Guareschi, conserviamo la nostra bella provvista di dubbi. E ci verrebbe la voglia di chiedere a Giovannino - col "diritto" che ci deriva dagli esercizi di ammirazione che abbiamo sempre tributato al suo ingegno e al suo anticonformismo, alla sua dirittura morale e alla sua pulizia di scrittore italiano e "in" italiano - : perché, al di là di tutti gli aiuti che gli hai dato, attraverso questo o quel collaboratore del "Candido" cui demandavi i contatti con Giuliano, non te lo sei un po' stretto al petto, tuo figlio? Noi lo abbiamo conosciuto cinque anni fa, alla "Versiliana" di Marina di Pietrasanta: un signore di settant'anni, tutto sulle tonalità grigie e con addosso un bel po' di malinconia. Anche se ci teneva a dire: la mia strada l'ho fatta, volevo diventare giornalista e ci sono riuscito, sì, in Australia e non in Italia, perché papà non voleva temendo che venisse fuori la faccenda del figlio illegittimo e raccomandato, ma insomma, eccomi qua, ho lavorato per cinquant'anni in un quotidiano di lingua italiana, "La Fiamma", e ne sono diventato il direttore. E papà sarebbe fiero di me, anche se lui avrebbe voluto che continuassi a lavorare a Parma, alla "Barilla", dove mi aveva trovato un posto. Eppure Giuliano, rientrato in Italia nel 2002, di tutto dava l'idea tranne che di un uomo appagato. E, del resto, leggendo il suo libro "Mio padre Giovannino Guareschi. Dal Po all'Australia inseguendo un sogno" (Stati di Luogo Diabasis, 2004, pp.150, euro 12), se ne ha conferma. Non che da esso trapeli qualche rimprovero, sia pure velato, all'indirizzo paterno. E ragioni ce ne sarebbero: Giuliano non lo dice e non lo direbbe mai, ma in fondo emigra per non "disturbare". Nel senso che suo padre ha una famiglia, lui se ne rende conto, lo capisce, lo perdona, come lo capisce e lo perdona di aver detto un brusco ciao alla povera Luisa sedotta e abbandonata (e che poteva fare un ragazzo "in carriera"?), di non essergli stato accanto da bambino, di accoglierlo, ora, sempre con un certo imbarazzo, tipico di chi ha fatto una cosa non bella, ma che altro non poteva fare e quindi si è dato da sé l'assoluzione. Giuliano non giudica e non vuol giudicare il papà: e ora proprio non lo farebbe, visto che ha inseguito un sogno per tutta la vita - le radici, l'identità, il cognome - e quel sogno è ormai si è realizzato. Lui adesso può chiamarsi Giuliano Guareschi. Noi, però, qualcosa a Giovannino dobbiamo dirgliela. E ce lo impongono proprio la stima e l'affetto che proviamo per lui, questo grande scrittore italiano che, per l'universalità, la verità delle sue "creature", don Camillo e Peppone, meriterebbe davvero un Nobel alla memoria. "Giovannino, Giovannino!...", gli diceva tante volte la sua amata sposa Ennia - la futura Margherita nel "Corrierino delle famiglie" per richiamarlo bonariamente ai suoi doveri. "Giovannino, Giovannino!...", gli diciamo noi, ma non ti sembra di esserti comportato come il tipico gallaccio italico che mette la donna nei pasticci e poi chi si è visto, si è visto? D'accordo, una mano a tuo figlio gliela hai data, forse con affetto, per carità, ma anche con un certo disagio, come uno che preferirebbe dimenticare quel che ha fatto e non vedere quello che ha davanti, carnale, tangibile, "sensibile". Come Giuliano, così tangibile, sensibile e mite, ma anche tenace nella sua volontà di ricongiungersi al padre. Lui, l'illegittimo, l'innocente a cui non "deve" toccare una famiglia normale. Come quella che hai avuto tu, amandola e immortalandola. Lo sappiamo, non c'era posto per Giuliano. Ma mentre guardiamo le sue foto da giovane e le confrontiamo con le tue alla stessa età, non possiamo fare a meno di dire: siete uguali.