Gianni Letta, lezione di giornalismo contro il giornalismo fazioso
Non si crogiola in aneddoti. Tutt'altro. Come sempre chiaro e diretto, la sua lezione di giornalismo è una vera requisitoria contro certo giornalismo d'oggi. Critica la televisione: «Teatrino della politica» e poi «la politica che diventa spettacolo per il giornalismo». Troppi retroscena di fantasia. Troppi teoremi e poche notizie. Il direttore Letta ha esordito ricordando una sua delusione. Nei primi mesi di esperienza a Palazzo Chigi, nel 1994, ebbe modo di constatare che i suoi ex colleghi giornalisti erano interessati solo ai «gossip» piuttosto che a conoscere l'attività del governo: «Dopo qualche mese - ha ricordato - mi presentai in sala stampa e dissi: tanti parlano senza lavorare, io da oggi lavorerò senza parlare». «La televisione ha omai surrogato le sedi istituzionali», stigmatizza sorregendosi al leggio. «I processi si fanno ormai in tv e sono una delle alterazioni più gravi». Gli esperti dei Ris anticipano i risultati delle loro analisi davanti alle telecamere e con «tanti Pm che ormai fanno impallidire Perry Mason». «La società di massa impone la legge dell'audience - spiega Letta - Questo è il motivo per cui la tv pubblica si è allineata a quella commerciale. E tutte e due vanno progressivamente degradando». Letta ha una certezza: i giornali continueranno a esistere nonostante il necrologio del New York Times: «I necrologi allungano la vita». E poi l'obiettività non esiste in assoluto. Ma un conto è essere faziosi un conto partigiani. Il pensiero che ha sempre guidato il Letta direttore. Lo abbiamo rivisto in quella veste, almeno una sera. Ed è stata una bella sferzata per tutti noi.