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I mega eventi estivi non fanno più gola

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Come si presenta l'estate musicale al tempo della crisi? Il crollo verticale del settore discografico avrà gravi ripercussioni anche nell'ambito della musica dal vivo? Sono questi alcuni degli interrogativi, chiamiamoli anche dilemmi, che in questi giorni angosciano il settore. Le attenzioni maggiori si posano sui macro-eventi, per esempio sulla possibilità o meno di confermare il concerto di Bruce Springsteen allo stadio Olimpico, ma al di sotto si agitano fermenti e preoccupazioni non indifferenti. Cominciamo dai fatti. Confermata la cancellazione dell'Heineken Jammin' Festival, una manifestazione che da un paio d'anni si teneva nel Parco San Giuliano di Mestre e che quest'anno avrebbe raggiunto la tredicesima edizione.  La Live Nation Italia, il gruppo che l'ha sempre organizzata, ha dichiarato che la cancellazione è dovuta alla mancanza di nomi di richiamo. Una motivazione sorprendente. È chiaro che non avere celebrità significa non poter contare su un budget adeguato. Non è un caso che La Live Nation, la multinazionale che produce eventi in 57 nazioni, ha riportato nel quarto periodo dell'anno una perdita di 337,5 milioni di dollari, rispetto ai 18,4 dello stesso periodo dell'anno scorso. Non ci sono notizie del Festivalbar, la storica manifestazione estiva ideata da Vittorio Salvetti nel 1964. Lo scorso anno venne cancellata, presumibilmente per mancati accordi televisivi con Mediaset, e anche quest'anno, con la stagione estiva alle porte, non ci sono notizie. Dopo decenni di tormentoni estivi dovremo abituarci a non avere la caotica invasione all'Arena di Verona ai primi di settembre? Maria De Filippi - presumibilmente più per motivi affettivi che non imprenditorial-televisivi - ha mostrato interesse e solidarietà nei confronti della manifestazione, anche se negli ultimi giorni non ci sono stati recenti sviluppi. Il Festivalbar, al di là del cast e degli ascolti televisivi (per la verità molto traballanti nelle ultime edizioni), ha sempre contato sui dati del mercato, le mitiche compilations rossa e blu regine dell'estate, che forse non potranno mai essere più quelli di un tempo. Ma è tutto l'ambiente musicale ad accusare malessere. L'Assomusica, l'associazione di categoria che dal 1996 riunisce produttori e organizzatori di spettacoli dal vivo in Italia, ha visto il proprio consiglio direttivo dimettersi improvvisamente. Nubi anche per l'Imaie, l'istituto che tutela i diritti degli interpreti e degli esecutori, visto che si parla addirittura di rischio di estinzione a seguito di un procedimento istruito dalla Prefettura di Roma. Anche alla Siae è in arrivo il nuovo Statuto, dopo la trasmissione all'ente da parte del Ministero per i beni e le attività culturali firmato recentemente. Tutto questo in attesa di una legge sulla musica, che favorisca e agevoli forme di intervento in favore della musica italiana e che soprattutto conceda respiro fiscale portando l'Iva al 4% e dunque non relegando i supporti culturali a consumi voluttuari (il disco è nella stessa categoria dei profumi). Ma per ottenere questo occorre una volontà e un impegno culturale anche da altri settori. Sarà molto dura chiedere il riconoscimento culturale agli attuali prodotti musicali televisivi, i quali, sempre alla spasmodica ricerca di celebrità, crollano sul palco. Prova ne sia il tour di Giusy Ferreri, rivelazione «talent» dell'anno, meno di cinquecento persone a Roma, meno di duecento paganti a Napoli.

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