Festa da 2762 anni
Et focus, et porci, et fumosa palilia foeno. Parola di Aulo Persio Flacco, poeta e scrittore dell'età di Nerone. Così ricordava il 21 aprile: con poche parole, ma sufficientemente chiare per immaginare cosa accadesse a Roma, in quel 21 aprile di qualche millennio fa: animali in libertà, fieno bruciato, una festa. Una festa della natura, della campagna. Una festa consacrata a Pales, divinità della fecondazione delle greggi e degli armenti. Già, Pales. Perché siamo abituati a conoscere una religione romana costruita su Giove, Giunone, Minerva. Vediamo Marte in armi, Mercurio alato, Venere seduttiva, seguendo i racconti della mitologia ufficiale. Pales, divinità legata alla campagna, divinità figlia di un dio minore. Ma siamo proprio sicuri? Pales, la divinità del 21 aprile, è del tutto simile a tutti gli altri piccoli grandi dei, garanti della vita quotidiana. Roma nasce città di pastori e Pales sorvegliava l'andamento buono delle giornate. Nel 21 aprile i pastori uscivano all'alba e ornavano di alloro la porta dell'ovile. Le bestie stavano là dentro, quasi stupefatte di quel che vedevano. Alloro sulla porta, gesti strani e antichissimi. Gli uomini, con ramoscelli in mano, schizzavano di acqua gli animali: per i pastori era una purificazione, per gli animali era un gesto ripetuto una volta l'anno, il 21 aprile, quando sulle porte pendevano ramoscelli di alloro. Intorno, nella campagna, covoni di fieno a bruciare, assieme allo zolfo, al rosmarino alle altre erbe. E tutto risapeva di fumo... et fumosa palilia foeno, le palilie fumose di fieno. Le bestie continuavano la loro vita, vagando fra ramoscelli e fumo. E, nascosta dal fumo, si immaginava la presenza di Pales. Ecco le focacce, come ogni anno. Ecco il sorgo. Il pastore guardava ad oriente, là dove il sole nasce. E si rivolgeva a Pales: non si vedeva, ma c'era. Allora si offriva a Pales: come ogni 21 aprile, ecco le focacce, ecco il cestello di sorgo, ecco il latte nel secchio usato tutti i giorni per la mungitura. "Pales, Pales, Pales!". Per tre volte si evocava il nome. Non rispondeva nessuno, se non qualche belato. E c'era chi, fra i pastori, immaginava la voce di Pales nascosta nel belato di una pecora: la stessa dello scorso anno, la stessa del 21 aprile di trecentosessantacinque giorni fa. Il sole è alto sui colli di Roma. La primavera è iniziata, le greggi sono nelle vallate: bisogna festeggiare ancora. Come? Mangiando. Come da sempre festeggia il popolo della campagna. Non si mangia spesso, perché il problema è la fame. Si mangia tutto durante le feste, cosicché le feste sono il pretesto per mangiare. Un vento leggero porta in giro i belati delle pecore. È il 21 aprile, fa quasi caldo, il pane è stato sfornato da poco. Arrivano le donne con la burranica, latte e mosto. "Ma quanto è bella la figlia di Lucio!", "è passato un anno e non ancora promessa a nessuno!". Fra i belati delle pecore, i sussurri dei pastori, vagamente eccitati dall'arrivo del cibo e delle donne. I pensieri corrono: si può mangiare, si può sperare di ottenere soddisfazione per il corpo, non solo mangiando. Ora si canta, ora ci si accompagna con strumenti improvvisati, ora si preparano i fuochi di paglia per la sera (...et fumosa palilia foeno...), perché, verso sera, i pastori faranno a gara per saltare attraverso il fuoco. Una prova di coraggio. "Un anno fa Marco era riuscito a saltare tre covoni infuocati... e tutte le donne lo guardavano, tutte le donne lo avrebbero voluto per sé. Poi è andato a combattere e non è più tornato".