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X Factor? Il re è Morgan

Morgan

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{{IMG_SX}} Eccentrico e anticonformista. Personaggio televisivo di successo grazie al talent show di Raidue «X Factor». E anche protagonista delle cronache mondane (soprattutto dopo la sua recente liaison con l'ex velina Maddalena Corvaglia). Ma Morgan, ex leader dei Bluveritgo - al secolo Marco Castoldi - è prima di tutto un musicista. Che modestamente si autodefinisce un «chirurgo musicale», felice di fare il giudice a «X Factor», trasmissione che gli consente di praticare «un lavoro che mi piace, far crescere nuovi talenti». Al di là delle scaramucce con Mara Maionchi e Simona Ventura, Morgan resta la scheggia impazzita che ha accusato la Ventura di assegnare ai suoi «protetti» le uniche canzoni che sanno cantare. Nel libro di Elèuthera con Mauro Garofano, «In pArte Morgan», il musicista scaglia le sue freccette sulla società dello spettacolo. A cominciare da Mina, «miglior manager di se stessa, che sa stare lontana dai media ma in realtà è dentro i media più di molti altri». Anche se «il migliore è stato Battisti. Lui non c'era già quando c'era ancora». Mentre per Morgan, «Celentano ha più da dire in politica che nella musica: fa dei lenti, non fa pezzi rock e politicamente è un catto-comunista». Ma la grandezza di Fabrizio De Andrè (di cui Morgan ha realizzato il remake «Non al denaro, non all'amore nè al cielo») è indiscutibile, grazie «alla sua immensa cultura libertaria, ha parlato degli ultimi, dei miseri, realizzando una universalità in cui si può rispecchiare l'essere umano». Nonostante il successo in tv, Morgan non si sente però «un personaggio televisivo: sono a "X Factor" per parlare di musica. Vorrei tornare alla tv didattica, mi piaceva quella di Sergio Zavoli. Il musicista che legge Chiara Gamberale e Aldo Nove, «ma non sopporta la letteratura di Baricco», ascolta «l'hip hop, perché il rock in Italia scimmiotta le realtà musicali estere e parla di sesso o di nulla, mentre l'hip hop fotografa l'attualità». Il suo ultimo disco «Italian songbook vol. 1», primo di una trilogia che Morgan chiama «dello straniamento», non ha però convinto i critici musicali, che lo definiscono una sorta di «karaoke» fatto uscire però con grande sapienza mediatica, al momento giusto. Nel pieno della sua popolarità.

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