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Verdone racconta il suo nuovo film

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Nel teatro 8 di Cinecittà, dove dopodomani inizieranno le riprese, il regista ha annunciato il suo film «Io loro e Lara», da lui scritto con Francesca Marciano e Pasquale Plastino. La pellicola, per la prima volta prodotta unicamente da Warner, sarà nelle sale a gennaio 2010. Verdone, chi sarà stavolta il suo personaggio? «Sarò un missionario comboniano in Africa che torna a casa, a Roma, dopo una profonda crisi spirituale. Si sente solo perché in Africa è costretto a fare il meccanico, il medico, l'operaio, e alla fine anche il prete. L'incontro con i suoi superiori sarà risolutivo, almeno in apparenza: gli verrà consigliato di fare una pausa di riflessione e di tornare nella casa dei suoi familiari». Per interpretare un missionario si è avvalso di qualche consulenza? «Sì. Ho la fortuna d'incontrare qualche volta monsignor Tonini che mi ha spiegato quanto la crisi sacerdotale sia molto frequente, ma poi tutto si risolve in genere con un maggiore accrescimento della fede». Cosa succede dopo il ritorno a casa del missionario? «Troverà un disastro, capirà che in Occidente c'è qualcosa di malsano, mentre in Africa non c'è bisogno di psicoanalisi e i problemi interiori scompaiono di fronte a povertà e fame. Rivedrà il padre (Sergio Fiorentini) che vuole fare il ragazzino e si tinge i capelli, fumando sigarette e spinelli. Il fratello broker (Marco Giallini) dalla vita sregolata. La sorella (Anna Bonaiuto), psicoanalista più eaurita dei suoi stessi pazienti e l'amica psicologa (Angela Finocchiaro). In questo ambiente piomba Laura, una ragazza che vivacchia facendo la guida turistica e travestendosi da Messalina per portare i turisti in giro per Roma. Ma farà anche giochi erotici con la webcam e diventerà il perno attorno al quale girano gli altri personaggi, in un copione molto teatrale che è stato già tradotto in Francia e in Inghilterra con buon successo». Come evolverà l'incontro sul set tra lei e Laura Chiatti? «Le riprese partiranno lunedì e per un mese e mezzo si svolgeranno a Cinecittà, dove abbiamo ricostruito il tipico appartamento borghese del quartiere Prati. Tra me il personaggio della Chiatti non ci sarà alcuna relazione sentimentale: sarebbe troppo banale. Ho ormai la nausea nel rifare le solite macchiette borghesi, per fare il missionario mi sono dovuto documentare e ho deciso di farlo in modo sobrio, senza cavalcare i soliti luoghi comuni. Si ride ma non ci sono solo gag e, anche per questo, il film sarà per me una vera sfida. Tanti dialoghi teatrali e qualche ripresa africana, che faremo a Samburu, a nord di Nairobi, al confine con la Somalia». Il prete da lei interpretato sarà comunque una figura scomoda... «Non troppo. Vestirò il clergyman d'ordinanza in poche scene e affronterò solo di passaggio i problemi della Chiesa, come il divieto dell'uso dei preservativi. Ma senza entrare nel merito di queste tematiche». Perché ha scelto di girare a Cinecittà? «Ormai qui lavoriamo io e Avati ed è un vero peccato che esistano solo studi televisivi. Vorrei che i miei colleghi registi tornassero in questi teatri storici. Io ci mancavo dal '91, quando girai "Maledetto quel giorno che ti ho incontrato"».

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