Guevara, l'antieroe perseguitato dall'asma

È la prima parte della biografia che Steven Soderbergh a Hollywood ha dedicato a Ernesto Che Guevara. La seconda qui da noi la vedremo a maggio. Questa di oggi si rifà al "Diario della Rivoluzione Cubana", scritto appunto dal Che e riscritto adesso per il cinema da Peter Buchman, lo sceneggiatore di "Alexander". L'azione si svolge dal '56 al '58 quando il Che, medico argentino, conquistato dalle idee di Fidel Castro, si era unito a lui e a un piccolo gruppo di suoi seguaci per sbarcare a Cuba e dare inizio a quella lotta contro il regime corrotto di Fulgencio Batista che, dopo due anni di duri combattimenti nella Sierra Maestra, li avrebbero condotti all'Avana, vincitori. In mezzo, per illustrare le motivazioni ideologiche e politiche di quella rivoluzione, si dà spazio al discorso che, nel '64, il Che tenne di fronte all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con l'inserimento di una sua intervista televisiva ricostruita, come l'intervento nella sede dell'ONU, sulla base di una documentazione precisa. Soderbergh, che è un regista asciutto, per nulla enfatico e poco incline al trionfalismo, ha svolto tutti questi eventi in cifre quasi domestiche. Ha accettato le pagine di guerra guerreggiata, gli agguati, gli scontri, le sparatorie, i feriti e i morti, ma li ha rappresentati sempre con un realismo quieto, mettendo soprattutto l'accento sul Che senza però farne un mito, come è tuttora, ma privilegiando la sua umanità, la sua fermezza per un verso e, per un altro, la fragilità della sua salute, l'asma, la tosse, con gli stessi tratti autentici con cui Rossellini ci aveva detto di Garibaldi in "Viva l'Italia". Per le pagine dell'ONU (e l'intervista) ha scelto il bianco e nero, per le altre, nella giungla, nelle campagne, si è tenuto a colori quasi smorti, negli stessi climi riarsi in cui, in mezzo, a quelle vicende si svolgevano. Coronando questi toni sommessi con un finale che, dopo la vittoria dei rivoluzionari, li vede avviarsi verso l'Avana. Lì fermandosi, però, sulla strada per raggiungerla, sostituendo con sapienza alle trombe del trionfo i segni sulla semplice realtà di chi si accingeva a goderne. Vi corrisponde nei panni del Che, Benicio Del Toro, ruvido antieroe.