"Io borgataro dal cuore debole"
{{IMG_SX}}Come Ettore e Aiace, guerrieri di eserciti diversi che si feriscono in duello e vengono poi ricoverati nella stessa tenda, così Alberto e Angelo, protagonisti del film «Questioni di cuore» di Francesca Archibugi, s'incontrano conciliando i loro mo. La commedia drammatica, tratta dall'omonimo libro di Umberto Contarello e distribuito dal 17 aprile in 250 sale da 01, è la storia di un'amicizia nata nella sala di rianimazione di un ospedale. Nella stessa notte i cuori di Alberto (Antonio Albanese) e Angelo (Kim Rossi Stuart) cedono. Se il primo è un allegro sceneggiatore di mezza età in piena sindrome di Peter Pan e in crisi sia artistica sia sentimentale con la sua compagna (Francesca Inaudi), il secondo è un carrozziere della periferia romana, sposato con una popolana (Micaela Ramazzotti), padre di due figli e di un terzo in arrivo. Nel film, prodotto da Rai Cinema, Cattleya e Cimenello e in predicato per il festival di Cannes, spiccano, oltre all'interpretazione di Paolo Villaggio, i camei di Carlo Verdone, Paolo Sorrentino, Paolo Virzì, Daniele Luchetti e Stefania Sandrelli. Rossi Stuart, cosa l'ha spinta ad accettare questo ruolo? «Sono stato colpito soprattutto dall'aspetto leggero della commedia, anche se interpreto un malato di cuore. Mi sono piaciuti i dialoghi quasi teatrali del film, nei quali recito con una voce romanesca che mi è uscita spontaneamente fuori. E poi mi ha emozionato lavorare con Albanese, in un concerto a due: il suo personaggio è più complicato del mio, perso nelle sue nevrosi da intellettuale». È la storia di un'amicizia tutta maschile? «Sì. Angelo è un carrozziere specializzato in auto d'epoca, con famiglia al seguito. È una persona semplice, un misto tra Brando e Sordi. Con sua moglie formano la classica coppia di fidanzati che si sono incontrati da ragazzi e non si sono più lasciati, senza grosse indecisioni. È un personaggio dalla vita elementare e viscerale, contrapposta a quella sregolata di Alberto». Cosa rende speciale la loro amicizia? «La sofferenza, la paura della morte, lo spaesamento da una realtà che dopo la malattia non ritrovano più come prima. Alberto è un uomo solo che non riesce ad offrire stabilità alla sua fidanzata e così s'installa come un paguro nella casa di Angelo. Si viene a creare una famiglia con due padri: uno solido che guadagna ed evade, l'altro indeciso che scrive, sperpera soldi e relazioni. Ma non c'è scontro tra loro. Anzi scherzano e ridono, finché il mio personaggio, Angelo, non cerca di trasferire all'amico l'elemento più caro che ha, la sua famiglia, come eredità, dono e responsabilità morale». Il film è girato tra il Pigneto e il Mandrione, in quel quadrilatero dove sono nati film di grandi maestri, come Rossellini, Fellini e Pasolini: che effetto le ha fatto girare lì? «La mia casa in affitto era proprio al Pigneto, lo conosco bene anche se ora ha subito forti cambiamenti. Nella strada di "Accattone" c'è odore di kebab ed il quartiere si è riempito di fighetti. Il Mandrione di "Giulietta", il Quadraro de "Il ferroviere", la borgata Gordiani dove hanno sparato dal camion ad Anna Magnani o le vie di Torpignattara frequentate dai fratelli Citti, sono solo un ricordo ormai. È una Roma che si può rivedere solo al cinema di una volta». Tornerà alla regia? «Sì ho in mente una storia che spero di realizzare l'anno prossimo, ma prima ho almeno altri due impegni come attore». Quali? «Domani inizierò le riprese della commedia corale e ironica di Paolo Virzì, "La prima cosa bella", ambientata a Livorno. Il film copre un arco temporale di 30 anni e Micaela Ramazzotti (moglie di Virzì) avrà il ruolo di mia madre».